Appunti di diritto (in)civile.

Bibliotecaria mancata. Studentessa quando capita. Giurista in divenire.


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Abortire nella terra degli obiettori

Mi preme segnalare questo articolo, riportato anche da un sito che, già che ci sono, vi consiglio di tenere d’occhio: Zero Violenza Donne.

Chi segue Diritto (in)civile da un po’ sa già come la penso sull’aborto. Chi, invece, passa di qua per la prima volta, può dare un’occhiata a questo post (commenti compresi). Questo solo per dire: non sono favorevole all’aborto inteso come “contraccettivo ritardato” e, personalmente, credo non abortirei mai (ma, dopotutto, mai dire mai, che in certe situazioni bisogna trovarcisi).

Nonostante questo, ritengo che ci siano delle situazioni in cui, purtroppo, l’aborto debba essere preso in considerazione e penso che fare di questa scelta di per sé già difficile e dolorosa un interminabile percorso a ostacoli sia un atto di egoismo e violenza.

Perché leggendo le storie di queste donne, davvero non capisco come si possa essere tanto insensibili da abbandonarle a se stesse in simili momenti (intendo soprattutto dopo l’aborto, ma leggendo l’articolo capirete a cosa mi riferisco). Non credo spetti all’uomo (inteso come essere umano e non come essere di sesso maschile) giudicare, in questi casi. Tanto più lasciando queste donne da sole per ore, con il feto che hanno espulso tra le gambe, ancora caldo. Umanamente, mi sa tanto di crudeltà gratuita.

Ora. Non voglio aprire un dibattito sul tema “aborto sì/no”. Ce ne sono già troppi e verrebbe fuori un pandemonio. Vorrei solo che, dopo aver letto l’articolo linkato, tutti provassero a mettere da parte convinzioni politiche/religiose/sociali e a porsi, semplicemente, nei panni di chi ha appena perso un figlio che, per un motivo o per l’altro, non potrà mai stringere tra le braccia.

Buona lettura.


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Nina e i diritti delle donne – Cecilia D’Elia

Ci segnala Loredana Liperrini che c’è un nuovo libro da mettere sotto l’albero. Si intitola Nina e i diritti delle donne, scritto da Cecilia D’Elia e illustrato da Rachele Lo Piano.

Questo è quanto troviamo sul sito della casa editrice Sinnons:

«Oggi i ragazzi e le ragazze posso scegliere cosa fare da grandi. Ma in Italia, solo 45 anni fa, alcune professioni erano vietate alle donne: come la magistratura e altre ancora nei pubblici uffici. Attraverso la voce di Nina e la storia della sua famiglia, il racconto di come è cresciuta l’Italia attraverso l’evoluzione dei costumi, delle donne e della società intera: per mostrare ai giovani lettori e lettrici che niente si può dare per scontato e che tanti diritti, che oggi sembrano ovvi, sono in realtà frutto di grandi battaglie avvenute pochi anni fa e che non vanno dimenticate! Soprattutto per non tornare indietro.»

Fra i temi trattati: diritto di famiglia e aborto. Tra le figure descritte: Franca Viola, Tina Anselmi, Nilde Iotti. In più ci sarà una bella appendice con tutte le leggi in materia.

Aspetto a dare un giudizio personale sull’opera in sé, visto che preferisco prima darci almeno un’occhiata. Descritta così, comunque, sembra molto interessante. Così interessante che mi sentirei di consigliarne la lettura anche a qualche ometto più grandicello (e anche a qualche femminuccia, sì).

In fondo, signori miei, non si smette mai di imparare.


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Libero: Togliete i libri alle donne e torneranno a fare figli

No, davvero, devo commentare?

E il “bello” è che si prendono pure finanziamenti pubblici per scrivere ‘ste boiate.

Vergognatevi.


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Nella cattiva sorte. [racconto]

[Racconto temporaneamente rimosso in quanto partecipante a concorso letterario]

{Ricordo, viste le brutte esperienze passate, che questo racconto (come del resto tutto quello che è scritto in questo blog) è protetto da una Licenza Creative Commons. Per maggiori informazioni sulla possibilità di condividerlo vi prego di consultare l’apposito banner posto nella colonna qui a fianco. Rimango a disposizione per ulteriori informazioni (dirittoincivile@gmail.com). Grazie. }


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I figli della “vecchia generazione”.

Prima pagina del Corriere della Sera On-line di oggi, titolone: Video con la compagne di classe, il mercato proibito su Internet.

Smaltita la prima reazione del tipo: “MA VA?!?!?! Ma pensa te, che scoop il Corriere! ‘spetta che lo faccio presente a quelli del Pulitzer!” ho iniziato a pensarci su. E ad innervosirmi alquanto.
Perché personalmente non condivido quello che fanno i ragazzini in questione. Anzi. In un primissimo momento è venuto anche a me da dire “ah, queste nuove generazioni! Dove andremo a finire?”
La prima, acida e istintiva reazione, è quasi sempre questa, bando alle ipocrisie. Il vecchio, il nostro stile è perfetto. Il nuovo fa schifo. Punto. Fine della discussione (che poi io di anni ne ho 24, intendiamoci, non è che sia proprio lontanissima da questa fantomatica nuova generazione – echioseràdireilcontrariodovràvederselaconmeperchéiosonoccciofane).
Poi, però, se si ha un minimo di cervello, si comincia a riflettere.

Perché i ragazzini si comportano così?
Se li sono inventati questi comportamenti? Vengono istintivi? O forse sono il prodotto di quello che li circonda, dell’ambiente in cui vivono, dell’educazione che ricevono?
La conferma ce l’hai se accendi la tv. A qualsiasi orario. E non parlo solo delle pubblicità, no no. Mai provato a sintonizzarvi su Italia 1 verso le 12.30? C’è Studio Aperto. I primi dieci minuti, di solito e se davvero non possono farne a meno, li dedicano a Yara, Sarah Scazzi, Melania e così via. O a buttar fango sui giovani sovversivi di sinistra che usano un terribile strumento demoniaco chiamato Twitter per lanciare invettive violente contro un certo povero martire di nostra conoscenza. Gli ulteriori venti minuti sono dedicati a servizi acculturatissimi come “Studi scientifici hanno dimostrato che le donne col seno rifatto e le labbra carnose piacciono di più agli uomini” (giuro che il servizio esiste veramente; forse il titolo è diverso, ma la sostanza è questa) o “Guarda la velina, che l’han beccata a prendere il sole tutta ignuda!” oppure, ancora, “Ecco a voi, in anteprima, gli scatti del nuovo calendario super sexy di Tizia!“.
Con tutte le immagini, naturalmente.

Alle 12.30.

Poi esci di casa. Toh, guarda che bella gnocca sul cartellone pubblicitario!
Leggi il giornale: chissà chi sarà rimasto coinvolto nell’ultimo scandalo politico a sfondo sessuale! Andiamo a vedere! O, guarda questa qui! E’ diventata Ministro/Consigliere/Pezzo grosso di un’azienda perché l’ha data via. Ed è stato beccato un video su You Tube in cui…

E allora mi fanno ridere i giornalisti che demonizzano (o trattano da deficienti) questi giovincelli depravati. E mi fa ridere chi commenta inneggiando a una vecchia generazione perfetta e idilliaca in cui nessuno si sarebbe mai sognato di comportarsi in questo modo scandaloso. Perché questi giovani d’oggi, insomma, bisognerebbe mandarli nei campi militari! E le ragazze a far da infermiere nelle case di riposo! (Commento reale all’articolo di cui sopra).

E proprio a queste generazioni così morigerate pongo la mia domanda: ma l’Italia, anzi, il mondo così com’è oggi, chi l’ha creato? Chi l’ha creata questa società basata sulla (s)mercificazione del corpo femminile?
L’ha creata il ragazzino di 15 anni che oggi considera le compagne di classe come oggetti? La ragazzina che vende il suo corpo per le ricariche telefoniche perché “tanto è normale e oggi si fa così”? Si sono educati da soli questi terribili giovani? Non hanno, forse, preso esempio da chi avrebbe dovuto educarli?
E allora di chi è la colpa? Dei ragazzini che si sono rimbambiti e non sanno più rispettare i genitori e le loro regole o, magari eh, dei genitori che non sanno trasmettere buoni valori ai figli? Oppure dei genitori dei genitori (scusate la ripetizione) che non hanno saputo insegnare a questi ultimi a fare il loro mestiere?

Perché va bene il conflitto generazionale, ma ora un po’ si esagera.


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Violenza domestica: chi è il maltrattatore?

La violenza contro le donne va inserita nel più generale quadro della violenza di genere ed è oggi riconosciuta dalla comunità internazionale come una violazione dei diritti umani.
Include ogni azione violenta, sia essa fisica o psicologica, perpetrata da uomini o da istituzioni patriarcali nei confronti delle donne in quanto appartenenti al genere femminile.
Molte culture, credenze e persino leggi e istituzioni legittimano ancora oggi la violenza contro le donne, diffusa come piaga sociale (colpisce donne di qualsiasi età, religione, cultura, livello di istruzione, estrazione sociale) e, nonostante questo, spesso dimenticata.
A differenza di quanto si potrebbe credere, il tipo di violenza contro le donne più diffusa è quella perpetrata in famiglia dal proprio partner o ex partner: la violenza domestica.

Ma chi è il maltrattatore?
Quando si pensa a un uomo violento, subito il pensiero va a un emarginato sociale, individuabile a prima vista come persona pericolosa, magari vestito male, con qualche tatuaggio. Tutto muscoli. Un ribelle, insomma, da cui tenersi ben alla larga.
Non è così.
L’85% dei maltrattatori è costituito da uomini stimati socialmente, impiegati o liberi professionisti. E i dati sono confermati dalla pratica: nella mia seppur breve esperienza ho avuto per lo più a che fare con donne maltrattate il cui compagno era stimatissimo socialmente (volontari, consiglieri comunali e via dicendo). Si tratta di soggetti in grado di controllarsi fuori dall’ambiente domestico, violenti solo con la propria partner.
Più di rado (il restante 15%) si tratta, invece, di uomini già noti ai Servizi Sociali e alle Forze dell’Ordine perché violenti anche in altri contesti oltre a quello familiare.
Spesso si tratta di tipi possessivi, gelosi e, in quanto tali, insicuri e fortemente dipendenti dalla propria vittima (a tal punto che, se hanno paura di perderla, possono arrivare a ucciderla). Individui deboli che sentono il bisogno di esercitare potere sulla loro compagna e di controllarla, ricorrendo a mezzi che, di fatto, sono gli stessi per ogni situazione di violenza domestica (per approfondire si veda l’articolo sulla spirale della violenza domestica).
La maggior parte dei maltrattatori ha una visione rigida e tradizionale della vita e dei ruoli fra uomini e donne, visione che il più delle volte è conseguenza della cultura e dell’educazione cui sono stati sottoposti. E’, infatti, circa il 60% di essi ad aver subito maltrattamenti o ad essere stato spettatore di violenza.

Diverse teorie sono state elaborate nel corso degli anni, prima fra tutte quella che vorrebbe l’uomo violento malato, da curare. Si tratta di una teoria che non trova riscontri psicologici, tanto più che, come appena visto, il più delle volte i violenti lo sono solo con le loro vittime e questo non corrisponde al profilo di persone malate di mente.
Altra teoria è quella della c.d. famiglia conflittuale che mette sullo stesso piano vittima e carnefice, senza tener conto che nel caso di specie non si parla di conflitto bensì di violenza e non ci si trova di fronte a una situazione simmetrica quanto asimmetrica. E con questo si risponde anche a quelli che ogni volta scattano dicendo che allora “qualsiasi lite è considerabile violenza domestica”. Certo che no. La conflittualità fa parte della vita di coppia, ma un litigio “normale” vede i partners su un piano di parità e non di supremazia dell’uno sull’altra.
Ulteriore teoria descrive la violenza come “perdita di controllo” ed è contraddetta dallo stesso ragionamento svolto in merito al “violento malato”.

Alla luce di quanto appena detto, dunque, le cause della violenza domestica sono raramente imputabili a origini fisiologiche o biologiche.

Quanto all’abuso di alcol e stupefacenti, non è credibile a mio parere chi individua negli stessi le uniche cause dirette della violenza. Più volte mi è capitato di sentire ragionamenti come: “mio marito è violento, ma poverino è colpa dell’alcol. Se non beve non mi pesta, si limita a strillarmi contro”. Alcol e droghe non sono la causa del maltrattamento (che, anche nel caso appena descritto, sussiste comunque dal punto di vista psicologico), ma incrementano il comportamento violento poiché riducono le inibizioni e la capacità di autocontrollo.

Quanto alla sostanza, il comportamento violento può manifestarsi, dal punto di vista fisico, nei modi più svariati: spintoni, schiaffi e pugni, morsi, sputi, bruciature, tentativo di strangolamento, tortura, aggressione con arma da fuoco, pestaggio durante la gravidanza, costringere la partner ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà, commettere atti sessuali violenti o degradanti, e così via.
Altrettante possono essere le condotte in cui si sostanzia la violenza psicologica: insulti, giochi mentali, denigrazione, imposizione di comportamenti inutili e degradanti (pretendere che il pavimento venga rilavato più e più volte o – e questa l’ho sentita davvero – arrivare alle minacce e alle botte perché l’insalata non è stata sciacquata con una certa acqua e un certo quantitativo di volte, etc.), menzogne, produrre l’isolamento della vittima, eccessiva gelosia, minaccia di sottrarre i figli o di far del male agli stessi, prendere decisioni importanti senza consultare la compagna, usare la conoscenza di abusi precedenti per far pressione sulla partner, e via dicendo.

Questo un quadro generale. Riduttivo, ovvio, ma a mio parere utile per introdurre il discorso sulla violenza domestica dopo il post precedente.

Chiudo con un interrogativo: un uomo violento può cambiare?
Aspetto le vostre considerazioni.

Alla prossima.


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Pensieri sparsi.

Penso che avrò una vita bellissima. Penso che finirò di studiare, che troverò un lavoro. Non so ancora come, non so ancora dove. Ma penso che ce la farò.
Penso che mi sposerò. Che avrò un marito, due figli, un gatto e forse un cane.
Penso che vivrò in una bella casa, magari piccola ma di sicuro accogliente. Penso che i miei figli avranno un papà, una mamma e dei nonni.
Penso che saremo una bella famiglia.
Penso che organizzerò molte sorprese e che ne riceverò altrettante.
Penso che accompagnerò i miei figli a scuola, a danza, a calcetto, in piscina. Che lavorerò. E che farò una fatica immane. Ma penso che non sarò sola, e che riusciremo, insieme, a fare tutto col sorriso sulle labbra.
Penso che ci saranno momenti difficili. Litigi, sfuriate, lacrime.
Penso che la domenica mattina mi sveglierò accanto alla persona che amo, che trascorreremo il pomeriggio in un parco invaso dal sole, a giocare a palla, a farci rincorrere da un cane buffo e scodinzolante.
Penso che la sera, prima di dormire, leggerò un buon libro, crogiolandomi sotto le coperte, la testa sulla spalla di mio marito.

E voi, voi penserete che tutto questo sia banale, ordinario, noioso. O forse impossibile. Ma non per me.

Io penso che tutto quello che voglio è una famiglia felice e che lotterò per crearla, perché le premesse ci sono tutte.
Penso che sarà una magia, la più bella cui potrò mai dare vita. E che sarà capace di sorprendermi ogni giorno.


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Lo stralisco – Roberto Piumini [rece]

“– Sì, è simile al grano, ma sono spighe di stralisco.
­ – Stralisco? E’ una pianta che non conosco, ­ – disse Sakumat, avvicinando con curiosità la faccia a una delle spighe dipinte, per studiarla meglio.
­ – Nessuno lo conosce, ­ – disse Madurer, ­ – è una specie di pianta luminosa.
­ – Luminosa?
­ – Sì, splende nelle notti serene. E’ una specie di pianta-lucciola, capisci? Noi adesso non la vediamo spnedere, perché è giorno. Ma di notte lo stralisco illumina il prato.”

Lo stralisco Lo stralisco è un romanzo breve (poco più di 100 pagine nell’edizione della collana Storie e rime, Einaudi Ragazzi, illustrazioni di Cecco Mariniello comprese) che racconta dell’amicizia tra Sakumat, un pittore turco, e Madurer, un bambino affetto da uno strano malanno che lo costringe a rimanere rinchiuso nelle sue stanze senza poterne mai uscire.
Il compito di Sakumat è portare il mondo esterno in quelle camere asettiche, mischiando realtà e fantasia, coinvolgendo il suo piccolo committente nella creazione di un universo in miniatura fatto di campagne, boschi e mari sconfinati che si trasformano al mutare delle stagioni come per magia.
Le figure sulle pareti sembrano così vivere di vita propria, descritte con uno stile semplice ma mai scontato, dolce ma mai lezioso, che regala a chiunque lo legga una sincera commozione.
I tre personaggi principali (il pittore Sakumat, Madurer e suo padre) sono ben sviluppati, complessi nella loro apparente semplicità, tanto che quello che Sakumat, il protagonista, compie nel passaggio da una stanza all’altra (e, di conseguenza, da un capo all’altro del mondo) è considerabile come un vero e proprio cammino di formazione che lo porterà a scoprire se stesso.

Lo stralisco è una fiaba delicata e dolce, adatta a grandi e piccini.
La mia prima lettura risale a quando frequentavo le elementari. L’ho riletto l’anno scorso e l’ho apprezzato ancora di più. Ai bambini piace perché è una bella storia, la storia di un bambino; ai grandi perché è una storia sul potere dell’amicizia e sulla vita, che sa essere fragile e forte al tempo stesso, come lo stralisco che si piega sotto il respiro del vento illuminando la notte.


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Perché non siam popolo, perché siam divisi.

All’alba della magnifica lectio tenuta da Benigni sull’Inno italiano, sconforta ricordarsi che queste parole del nostro Inno sono più che mai attuali.

Citofono.

Tizio: “Salve, dovrei lasciarle una comunicazione.”

Clarinette (che stava studiando, che in questi giorni è molto, molto nervosa causa esame imminente e che di queste “comunicazioni” pseudo-commerciali/pseudo-beneficenza ne ha ricevute fin troppe): “Buongiorno. Di che tipo di comunicazione si tratta, scusi?”

Tizio: “Una comunicazione che sto lasciando a tutti i suoi vicini. Loro sono scesi a prenderla.”

Clarinette: “Buon per lei. Ma io vorrei sapere prima di che comunicazione si tratta, magari potrebbe non interessarmi.”

Tizio: “Ma se lei scende o mi fa entrare la vede e capisce. Guardi che tutti mi hanno aperto, eh. Tutti i suoi vicini!”

Clarinette: “Mi dica almeno da parte di chi è questa comunicazione. Chi è lei e perché dovrei aprirle?”

Tizio: “Lei scenda che così la vede!”

Clarinette: “Senta…”

Tizio: “Certo che si vede proprio che sei calabrese.”

Clarinette: “Complimenti! In compenso si vede proprio che lei, invece, è un gran maleducato e per giunta ignorante.”

Clic.

Ok. Forse la mia reazione è stata un po’ troppo da “nonna che ha paura di far entrare gli sconosciuti”, però vista la rivelazione finale sono quasi pentita di non avergli buttato dalla finestra un pentolone di acqua bollente.

Io sono mezza calabrese e mezza romagnola. Sono nata sul Lago Maggiore. Sono stata cresciuta da un siciliano in provincia di Varese. Sono follemente innamorata di un foggiano e vorrei andare a vivere in Emilia. Perciò tu, povero piccolo leghista che nella vita non hai trovato niente di meglio da fare che cercare di imbrogliare le persone porta a porta, tu che pensi di avermi insultata chiamandomi calabrese, sei solo un miserabile col cervello limitato dalla sua piccolezza, che della vita, dell’Italia e dell’essere Cittadini del Mondo, non ha capito e non capirà mai nulla.


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C’è uomo di stato e Uomo di Stato.