Appunti di diritto (in)civile.

Bibliotecaria mancata. Studentessa quando capita. Giurista in divenire.


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Concorso letterario: Donne, parole che lasciano il segno

Photo credit: reverendtimothy

(Articolo originariamente pubblicato su Finzioni)

Se siete donne, vivete in Italia e avete avuto, vostro malgrado, esperienza di violenza diretta o indiretta nelle sue innumerevoli forme, sappiate che l’Associazione Mafalda-VocidiDONNE, in collaborazione con le Associazioni NON SEI SOLA e Donne Nuove, ha indetto il Concorso letterario nazionale Donne, parole che lasciano il segno rivolto, come si diceva poco sopra, alle donne che hanno avuto esperienza di violenza diretta o indiretta, in ogni sua forma, per offrire alle stesse un’opportunità di espressione e condivisione.

Il concorso, gratuito, si articola in due sezioni:

A. Racconti brevi (fino a un massimo di n. 10 fogli A4 carattere 12);

B. Poesie (fino a un massimo di tre composte da non più di 36 righe).

Ogni autrice potrà inviare opere per una sola delle due categorie purché non siano già state premiate o segnalate in altri concorsi.

Vista la delicatezza dell’argomento trattato è prevista la possibilità, per le donne che lo desiderano, di partecipare utilizzando uno pseudonimo o richiedendo l’anonimato.

Le opere possono essere inviate a VocidiDONNE sia in formato cartaceo sia in formato elettronico, entro le ore 24 del 10 dicembre 2012.

Ogni sezione vedrà tre vincitori che riceveranno:

Sezione A.

1° classificato: assegno di € 300

2° classificato: assegno di € 200

3° classificato: assegno di € 100

Sezione B.

1° classificato: assegno di € 300

2° classificato: assegno di € 200

3° classificato: assegno di € 100

Inoltre, è prevista la pubblicazione delle prime 20 poesie e dei primi 10 racconti brevi, mentre tutte le opere non vincitrici verranno rese disponibili sul sito dell’Associazione (previa autorizzazione esplicita dell’autrice) ed entreranno così a far parte della raccolta di testimonianze che il concorso mira a raccogliere e diffondere.

La cerimonia di premiazione si terrà a Biella l’8 marzo 2013.

Per ogni ulteriore informazione vi invito a consultare il sito dell’Associazione VocidiDONNE, dal quale potrete scaricare il bando completo del concorso, o a scrivere all’indirizzo e-mail: mafaldavocididonne@gmail.com.


1 Commento

È la tua anima gemella? Te lo svela la sua libreria!

Lui è appena entrato in casa tua. Per la prima volta. Mentre gli stai preparando un drink ciondola in salotto, di fronte alla tua libreria. I suoi occhi scorrono sui volumi in rigoroso ordine alfabetico per autore e tu gongoli perché sai che è tutto perfetto: si inizia con la Alcott, che leggevi da bambina. Un po’ più avanti c’è la Allende. Nello scaffale successivo Conan Doyle e Dostoevskij ti fanno ciao ciao. Sotto di loro Hugo ammicca mentre Pennac e Pirandello si fanno una partitina a briscola.

È un momento fondamentale in ogni relazione tra lettori, l’incontro con le rispettive librerie. Questo perché dai libri posseduti (che si presume siano stati anche letti) si può capire, o almeno intuire, chi è veramente il soggetto con cui ci siamo messi. L’ordine in cui sono disposti, il loro stato, i titoli e gli autori scelti: sono tutte cose che permettono di sondare l’anima di un uomo, di leggergli dentro.

Qualche esempio? Stevenson, Salgari e O’Brian su una stessa mensola sono indizio, neanche a dirlo, di una personalità avventurosa, che non sa cosa sia la noia. La raccolta completa delle opere di Tolkien rivela una vena fantasiosa (ma occhio ai fissati). Chiunque abbia letto e apprezzato Stella del mattino merita di essere sposato. Se avvistate il trittico Vespa-Volo-Parodi, fuggite a gambe levate.

Ma è sempre così? Davvero ogni libro da noi posseduto rivela chi siamo veramente?

Per capirlo, torniamo alla nostra storia.

Anche tu hai i tuoi peccatucci. I tuoi errori di gioventù, come sei solita chiamarli. E intendo quella copia di Tre metri sopra il cielo che hai acquistato a quindici anni, su consiglio delle amiche. Ma non c’è problema. L’hai nascosta nel mobiletto del bagno in vista di questo momento. Puoi stare tranquilla, non fosse che…

A un certo punto, alle tue spalle, si materializza una figura. Ti sventola sotto il naso un volumetto nero. In copertina, due mani ti porgono una mela rossa.

Merda. Twilight.

«Ma non avevi detto che ti faceva schifo?» Suona come un’accusa e non è nemmeno velata. Sostieni il suo sguardo, ti spalmi sulla faccia una bella maschera di bronzo, la stessa che indossavi giusto la settimana prima mentre sputavi veleno sulla Meyer proprio di fronte a lui.

«È di mia cugina, l’ha lasciato qui e…»

«Tua cugina ha 7 anni.»

«Già. Precoci la bambine di oggi, non trovi?»

Ti guarda. Socchiude gli occhi. Lui sa.

E tu sai che userà tutto questo contro di te, un giorno.

Torni ai drink e decidi che è meglio abbondare con la vodka.

Il tempo passa. Lui sembra aver dimenticato il fattaccio (quel goccino di vodka in più è stato provvidenziale) ed è il tuo turno di incontrare la sua libreria.

Tanto per cominciare, lui non ha una libreria: ha una stanza intera dedicata solo ai libri. Decine, centinaia, forse un migliaio di volumi. Si parte con sette diverse edizioni della Divina Commedia. Antiche, antichissime. Una, addirittura, ha in prima pagina la dedica autografa di un Papa. Si prosegue con la Britannica originale. Montagne di libri di storia, dall’Eoarcheano ad oggi. E no! Non puoi nemmeno dire che è un tipo noioso e che se la tira con tutti ’sti libri perfetti, perché di fianco a tutto questo ben di Dio ci sono montagne di romanzi. Classici, contemporanei, tutti gli autori più importanti italiani e stranieri. Ci sono anche i fumetti d’autore, diamine. E c’è perfino una copia del Pendolo di Foucault autografata da Umberto Eco, roba che tu la guardi e cadi in ginocchio, affranta, con tanto di lacrime e mascara colante. A completare l’effetto, dalla cucina arriva la voce di Morandi: «Non son degno di teeee, ta, ta raaa, non ti merito piùùùù…».

Esplodi: «Ti prego, ti prego perdonami! Twilight è stato solo un errore di gioventù! Ti giuro che non lo faccio più…»

«E Moccia, allora? Che mi dici della copia di Tre Metri sopra il cielo che ho trovato nell’armadietto del bagno? EH?»

Merda.

«Dovevo recensirlo per il giornalino della scuola, ho dovuto leggerlo! Mi hanno costretta!»

Ma anche questa crisi passa. Lui è comprensivo. Eri un’adolescente nel bel mezzo dell’età della ribellione. Si può sorvolare.

Poi, un giorno, mentre quello che ormai è il tuo fidanzato si rilassa alla tv, decidi che è giunta l’ora di dare un’occhiata a quelle edizioni della Divina Commedia. E così, spulciando tra un volume e l’altro, trovi una cosa meravigliosa: nascosto in terza fila c’è il libro di un certo Brachino.

Sorridi, malefica. Lo hai in pugno.

«Amore! Guarda cos’ho trovato!»

Perché tutti hanno qualche scheletro nascosto nella libreria.

Tutti.


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Libero: Togliete i libri alle donne e torneranno a fare figli

No, davvero, devo commentare?

E il “bello” è che si prendono pure finanziamenti pubblici per scrivere ‘ste boiate.

Vergognatevi.


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Mai disturbare il can che dorme…

No, perché poi uno, per puro caso, si ritrova a guardare Hachiko e passa la serata a piangere come una fontana. Risparmiate i fazzoletti: gli Akita, a parte quando decidono di riderti in faccia (cosa che sanno fare maledettamente bene), hanno un musetto triste/annoiato/mogio-mogio/scazzato. Ce l’hanno perché così li ha creati madre natura e non perché si sentano in raltà tristi/annoiati/mogi-mogi/scazzati.

Dimostrazione? Tre giorni prima che Argo arrivasse a casa mi sono convinta a guardare ‘sto benedetto film (“non puoi prendere un Akita se prima non guardi quel film meravigliosostrappalacrimedioquantohopiantoquandoèmortoRichardGere!”) e, da metà in avanti, ho pianto singhiozzando disperata. Mai, mai, mai, mai in tutta la mia vita avrei immaginato che potesse esistere un esserino sensibile quanto Hachi, con quel musetto triste e coccoloso, tanto in pena per il suo padrone, tanto fedele.

Ho riguardato lo stesso film qualche settimana dopo aver preso con me Argo e… niente. Nemmeno una lacrimuccia. Datemi pure dell’insensibile, ma il film gioca un sacco sulle espressioni disperate e cucciolose degli Akita, senza naturalmente dar modo di capire a chi gli Akita non sa nemmeno dove stanno di casa che non c’è niente di strano, che quel povero cucciolo non è stato maltrattato né lasciato a digiuno per quattro giorni prima di girare il film.

Sono. Così. Di. Natura.

Molto espressivi, vero. Ma quando vi guardano con quegli occhioni enormi non stanno pensando “capo, se t’avanza tempo dammi qualcosa da mangiare, ti prego, muoio di fame e solo tu dall’alto della tua bontà puoi aiutarmi”, bensì, molto più probabilmente: “sciocco umano dispensatore di cibo, è ora di pranzo, te ne sei accorto?”.

Altra cosa: gli Akita sbuffano. Ma sbuffano tanto. Si irritano. Si irritano perché non li calcoli mentre devi studiare. Si irritano perché fai avanti e indietro per raccogliere la quintalata quotidiana dei loro peli e, così facendo, disturbi la pennichella pomeridiana. Si irritano perché non sei abbastanza rapido a raccogliere la loro pupù, che loro devono continuare la passeggiata.

Sbuffano e ti lanciano sguardi simili a quello della foto qui sopra, che se potessi accedere alla pagina 777 dell’akitavideo di sicuro ti uscirebbe in sovraimpressione la scritta “‘zzo vuoi, sciocco umano dispensatore di cibo? Non vedi che sto riposando?

Tutto questo finché non decidono che è giunto il momento di tirar fuori il pagliaccio che c’è in loro. A quel punto non ci sono Santi che tengono e devono dimostrarti tuuuuuutto quello che sanno fare e tuuuuttto, ma proprio tuuuuuutto il bene che ti vogliono. E’ così che iniziano a darti la zampa destra, poi quella sinistra, poi ti portano l’osso, la palla e la pallina da tennis (sì, tutte e tre le cose insieme: l’osso in bocca e le palline mosse a suon di zampe anteriori, una roba che nemmeno Del Piero all’apice della sua forma fisica riuscirebbe a fare), quindi si buttano a terra, strisciano, addirittura qualche volta rotolano, quindi si rimettono seduti, chiedono per favore con la zampotta e così via. Finché non ti degni di prestar loro la dovuta attenzione. A quel punto, il più delle volte, si prendono quelle due coccole di cui sentivano il desiderio e poi se ne vanno e ricominciano a schifarti.

Ma sono cani fedeli. E tanto, tanto buoni e teneri e coccolosi e dolci e fantastici e affezionati e ubbidienti e, soprattutto, rispettosi del padrone.

Ora scusate, ma devo andare: è giunta l’ora del pranzo di Sua Maestà e se oso sgarrare quello mi toglie il saluto per due giorni. Alla prossima, con le mirabolandi avventure de #ilcaneargo!

[Se vi avanza un po’ di tempo date un’occhiata al VERO standard dell’Akita e fatevi due risate.]


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Nella cattiva sorte. [racconto]

[Racconto temporaneamente rimosso in quanto partecipante a concorso letterario]

{Ricordo, viste le brutte esperienze passate, che questo racconto (come del resto tutto quello che è scritto in questo blog) è protetto da una Licenza Creative Commons. Per maggiori informazioni sulla possibilità di condividerlo vi prego di consultare l’apposito banner posto nella colonna qui a fianco. Rimango a disposizione per ulteriori informazioni (dirittoincivile@gmail.com). Grazie. }


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I figli della “vecchia generazione”.

Prima pagina del Corriere della Sera On-line di oggi, titolone: Video con la compagne di classe, il mercato proibito su Internet.

Smaltita la prima reazione del tipo: “MA VA?!?!?! Ma pensa te, che scoop il Corriere! ‘spetta che lo faccio presente a quelli del Pulitzer!” ho iniziato a pensarci su. E ad innervosirmi alquanto.
Perché personalmente non condivido quello che fanno i ragazzini in questione. Anzi. In un primissimo momento è venuto anche a me da dire “ah, queste nuove generazioni! Dove andremo a finire?”
La prima, acida e istintiva reazione, è quasi sempre questa, bando alle ipocrisie. Il vecchio, il nostro stile è perfetto. Il nuovo fa schifo. Punto. Fine della discussione (che poi io di anni ne ho 24, intendiamoci, non è che sia proprio lontanissima da questa fantomatica nuova generazione – echioseràdireilcontrariodovràvederselaconmeperchéiosonoccciofane).
Poi, però, se si ha un minimo di cervello, si comincia a riflettere.

Perché i ragazzini si comportano così?
Se li sono inventati questi comportamenti? Vengono istintivi? O forse sono il prodotto di quello che li circonda, dell’ambiente in cui vivono, dell’educazione che ricevono?
La conferma ce l’hai se accendi la tv. A qualsiasi orario. E non parlo solo delle pubblicità, no no. Mai provato a sintonizzarvi su Italia 1 verso le 12.30? C’è Studio Aperto. I primi dieci minuti, di solito e se davvero non possono farne a meno, li dedicano a Yara, Sarah Scazzi, Melania e così via. O a buttar fango sui giovani sovversivi di sinistra che usano un terribile strumento demoniaco chiamato Twitter per lanciare invettive violente contro un certo povero martire di nostra conoscenza. Gli ulteriori venti minuti sono dedicati a servizi acculturatissimi come “Studi scientifici hanno dimostrato che le donne col seno rifatto e le labbra carnose piacciono di più agli uomini” (giuro che il servizio esiste veramente; forse il titolo è diverso, ma la sostanza è questa) o “Guarda la velina, che l’han beccata a prendere il sole tutta ignuda!” oppure, ancora, “Ecco a voi, in anteprima, gli scatti del nuovo calendario super sexy di Tizia!“.
Con tutte le immagini, naturalmente.

Alle 12.30.

Poi esci di casa. Toh, guarda che bella gnocca sul cartellone pubblicitario!
Leggi il giornale: chissà chi sarà rimasto coinvolto nell’ultimo scandalo politico a sfondo sessuale! Andiamo a vedere! O, guarda questa qui! E’ diventata Ministro/Consigliere/Pezzo grosso di un’azienda perché l’ha data via. Ed è stato beccato un video su You Tube in cui…

E allora mi fanno ridere i giornalisti che demonizzano (o trattano da deficienti) questi giovincelli depravati. E mi fa ridere chi commenta inneggiando a una vecchia generazione perfetta e idilliaca in cui nessuno si sarebbe mai sognato di comportarsi in questo modo scandaloso. Perché questi giovani d’oggi, insomma, bisognerebbe mandarli nei campi militari! E le ragazze a far da infermiere nelle case di riposo! (Commento reale all’articolo di cui sopra).

E proprio a queste generazioni così morigerate pongo la mia domanda: ma l’Italia, anzi, il mondo così com’è oggi, chi l’ha creato? Chi l’ha creata questa società basata sulla (s)mercificazione del corpo femminile?
L’ha creata il ragazzino di 15 anni che oggi considera le compagne di classe come oggetti? La ragazzina che vende il suo corpo per le ricariche telefoniche perché “tanto è normale e oggi si fa così”? Si sono educati da soli questi terribili giovani? Non hanno, forse, preso esempio da chi avrebbe dovuto educarli?
E allora di chi è la colpa? Dei ragazzini che si sono rimbambiti e non sanno più rispettare i genitori e le loro regole o, magari eh, dei genitori che non sanno trasmettere buoni valori ai figli? Oppure dei genitori dei genitori (scusate la ripetizione) che non hanno saputo insegnare a questi ultimi a fare il loro mestiere?

Perché va bene il conflitto generazionale, ma ora un po’ si esagera.


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Pensieri sparsi.

Penso che avrò una vita bellissima. Penso che finirò di studiare, che troverò un lavoro. Non so ancora come, non so ancora dove. Ma penso che ce la farò.
Penso che mi sposerò. Che avrò un marito, due figli, un gatto e forse un cane.
Penso che vivrò in una bella casa, magari piccola ma di sicuro accogliente. Penso che i miei figli avranno un papà, una mamma e dei nonni.
Penso che saremo una bella famiglia.
Penso che organizzerò molte sorprese e che ne riceverò altrettante.
Penso che accompagnerò i miei figli a scuola, a danza, a calcetto, in piscina. Che lavorerò. E che farò una fatica immane. Ma penso che non sarò sola, e che riusciremo, insieme, a fare tutto col sorriso sulle labbra.
Penso che ci saranno momenti difficili. Litigi, sfuriate, lacrime.
Penso che la domenica mattina mi sveglierò accanto alla persona che amo, che trascorreremo il pomeriggio in un parco invaso dal sole, a giocare a palla, a farci rincorrere da un cane buffo e scodinzolante.
Penso che la sera, prima di dormire, leggerò un buon libro, crogiolandomi sotto le coperte, la testa sulla spalla di mio marito.

E voi, voi penserete che tutto questo sia banale, ordinario, noioso. O forse impossibile. Ma non per me.

Io penso che tutto quello che voglio è una famiglia felice e che lotterò per crearla, perché le premesse ci sono tutte.
Penso che sarà una magia, la più bella cui potrò mai dare vita. E che sarà capace di sorprendermi ogni giorno.


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Sondaggio (The Winner is…) e “Il cigno nero” [rece]

Ehm… non mi sono dimenticata, davvero. E’ che in questi giorni ho avuto molto da fare (lezioni ricominciate, studio da riprendere, piccoli problemi in famiglia, varie ed eventuali) e poco tempo da dedicare al blog.
Duuunque, per quanto riguarda il sondaggio, Siore e Siori, we have a winner:

Neil Gaiman, con il suo “American Gods“, si aggiudica la prossima recensione incivile. Datemi una settimanella o poco più per mettere a punto il tutto, please. Recensire Gaiman non è impresa da poco e non mi piace, ormai dovreste averlo capito, parlare di cose che non conosco bene/recensire “tanto per”.

I risultati nello specifico, comunque, sono i seguenti:

1°: American Gods (40%)
2°: Il giullare della regina (26,67%)
3° Ascolta il mio cuore (20%)
4°: Una moglie a Gerusalemme (13,3%)
5°: Carlotta e Carlotta (0%)

E io che avevo già pronta una bella stroncatura per “Una moglie a Gerusalemme”. M’ero anche preparata e documentata!
E invece mi toccherà tessere le lodi del mio adorato Neil… va be’, vi propinerò la mia vena acida tra un po’ (oppure la riserverò per La Libreria Immaginaria, che so che a Sara piacciono particolarmente le mie stroncature. Buongustaia!)

Ad ogni modo, parlando d’altro, ieri sera ho finalmente avuto modo di guardare “Il cigno nero”.
Non aspettatevi da me un commento tecnico perché non sono in grado, vi dirò invece cosa ha provato il mio stomaco.
Sì. Il mio stomaco, perché “Il cigno nero” è un film che colpisce direttamente lo stomaco. Lo pungola, lo stringe, lo accoltella, lo sminuzza. Il regista (Darren Aronofsky) gioca in modo alquanto sadico con la psicologia dei suoi personaggi, in un modo che definirei quasi “dostoevskijano”. Ti costringe a calarti nei panni di una dolce e fragile ballerina (Nina) che viene scelta da un fastidioso (e insidioso) Vincent Cassel per diventare la nuova stella della danza classica e interpretare la protagonista del famoso balletto “Il lago dei cigni”. Ma non c’è solo il ruolo di Odette ad attenderla. Nina dovrà, infatti, calarsi nei panni della gemella cattiva. Del Cigno Nero, appunto.
E qui iniziano i guai, perché Nina scoprirà pian piano la sua vera natura, tutt’altro che dolce e fragile, succube di una corsa in contro alla Perfezione (per raggiungere la quale sembra inevitabile il passaggio per la Perdizione) e al suo vero Io che la porta ad abbandonarsi all’autolesionismo e alla schizofrenia. Perché, sembra dirci Aronofsky, solo con la dolorosa distruzione di se stessi, solo con la Morte, si può raggiungere la Perfezione.

Sorprende l’interpretazione del Premio Oscar Natalie Portman, col suo viso tanto angelico quanto demoniaco che contribuisce alla creazione di un’atmosfera disturbante (è il primo aggettivo che mi viene in mente per definire questo film: disturbante).
Ah, per i maschietti: vedrete la cara Natalie intenta a tentare di raggiungere svariati orgasmi e ci sarà, sì, la tanto decantata scena lesbo. Ma se andate al cinema solo per vedere Mila Kunis con intenta a slinguazzare l’interno coscia della Portman rimarrete delusi: è un vedo non vedo. Sexy, sì, ma ben poca cosa da un punto di vista meramente sessuale.

Comunque. Un film da vedere, di sicuro. Se avete un animo sensibile, però, non aspettatevi di dormire sonni tranquilli. Ripeto: non sarà paura quella che vi piomberà addosso una volta conclusa la visione, ma ne rimarrete profondamente scossi.

Per riprendervi da “Il cigno nero”, tuttavia, potete sempre pensare che tra 10 giorni esatti arriverà… BORIS! Speriamo solo che non si tratti di un pesce d’aprile…

Alla prossima!


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Perché non siam popolo, perché siam divisi.

All’alba della magnifica lectio tenuta da Benigni sull’Inno italiano, sconforta ricordarsi che queste parole del nostro Inno sono più che mai attuali.

Citofono.

Tizio: “Salve, dovrei lasciarle una comunicazione.”

Clarinette (che stava studiando, che in questi giorni è molto, molto nervosa causa esame imminente e che di queste “comunicazioni” pseudo-commerciali/pseudo-beneficenza ne ha ricevute fin troppe): “Buongiorno. Di che tipo di comunicazione si tratta, scusi?”

Tizio: “Una comunicazione che sto lasciando a tutti i suoi vicini. Loro sono scesi a prenderla.”

Clarinette: “Buon per lei. Ma io vorrei sapere prima di che comunicazione si tratta, magari potrebbe non interessarmi.”

Tizio: “Ma se lei scende o mi fa entrare la vede e capisce. Guardi che tutti mi hanno aperto, eh. Tutti i suoi vicini!”

Clarinette: “Mi dica almeno da parte di chi è questa comunicazione. Chi è lei e perché dovrei aprirle?”

Tizio: “Lei scenda che così la vede!”

Clarinette: “Senta…”

Tizio: “Certo che si vede proprio che sei calabrese.”

Clarinette: “Complimenti! In compenso si vede proprio che lei, invece, è un gran maleducato e per giunta ignorante.”

Clic.

Ok. Forse la mia reazione è stata un po’ troppo da “nonna che ha paura di far entrare gli sconosciuti”, però vista la rivelazione finale sono quasi pentita di non avergli buttato dalla finestra un pentolone di acqua bollente.

Io sono mezza calabrese e mezza romagnola. Sono nata sul Lago Maggiore. Sono stata cresciuta da un siciliano in provincia di Varese. Sono follemente innamorata di un foggiano e vorrei andare a vivere in Emilia. Perciò tu, povero piccolo leghista che nella vita non hai trovato niente di meglio da fare che cercare di imbrogliare le persone porta a porta, tu che pensi di avermi insultata chiamandomi calabrese, sei solo un miserabile col cervello limitato dalla sua piccolezza, che della vita, dell’Italia e dell’essere Cittadini del Mondo, non ha capito e non capirà mai nulla.


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C’è uomo di stato e Uomo di Stato.