Appunti di diritto (in)civile.

Bibliotecaria mancata. Studentessa quando capita. Giurista in divenire.


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5 buone ragioni per guardare Dracula, nonostante tutto

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Geomagnetismo. Ordine del Drago. Cacciatrici improbabili. Un Van Helsing che boh. Veggenti drogati. Guerra del petrolio.
Ce la stanno mettendo proprio tutta, quelli della NBC, per rovinare (anzi, per non far neppure partire come si deve) la nuova serie dedicata a Dracula.

Eppure, ecco qui 5 buone ragioni per guardarla comunque:

1) c’è Jonathan Rhys Meyers;
2) c’è Katie McGrath;
3) c’è Jonathan Rhys Meyers;
4) la storia d’amore tra Dracula e Mina, come la giri giri, rimane comunque una delle storie d’amore più belle di sempre («I have crossed oceans of time to find you…» grazie F.F. Coppola);
5) forse non ve l’ho detto, ma c’è Jonathan Rhys Meyers.

Poi, se tutto ciò non bastasse, c’è Jonathan Rhys Meyers.
Buttalo via.


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Allevi vs Beethoven. C’è solo un sordo. E non è Beethoven

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Secondo Allevi, i giovani (i bambini, per la precisione) si annoiano ascoltando Beethoven perché non ha ritmo. Molto meglio Jovanotti (che poi, porello Lorenzo, tirato in mezzo a tutta ‘sta caciara).

Ora. Tralasciamo il fatto che il mio gioco preferito per pc, da bimba, fosse basato sulla Quinta di Beethoven (e, dannazione, non ricordo nemmeno il titolo: era un insieme di giochini di logica e memoria volti a insegnare ai bambini la Quinta. Alla fine arrivavi a conoscere l’intera Sinfonia, strumenti e disposizione dell’Orchestra compresi): la mia anormalità è cosa risaputa, quindi non faccio testo. E che in casa mia si ascolti musica classica praticamente sempre e da sempre ha giocato un ruolo significativo (sono cresciuta a pane-Beethoven e Bach, mio padre tifava Beethoven, mia madre Bach, mio zio è diventato sordo a furia di ascoltare l’Eroica a tutto volume).

Certo, non sono un’esperta. Non ho studiato al Conservatorio (ma ho fatto anch’io i miei anni in un’Accademia di musica rispettabile, via) tuttavia, se potessero parlare di musica solo gli esperti, allora solo chi studia Lettere dovrebbe poter recensire un libro e io dovrei stare qui a parlarvi tutto il santo giorno solo ed esclusivamente di leggi e cavilli. Sai che palle (perdonate il francesismo). Non potrei nemmeno scrivere di letteratura su Finzioni, per dire.

Non sono una fan dei tuttologi, ma sono fermamente convinta che l’essere umano possa (ed essendo la vita “una sola” debba, in un certo senso) conoscere quanto più può. Concentrandosi su alcuni argomenti e tralasciandone altri, certo, anche perché non abbiamo tutti il cervello di Leonardo da Vinci. Ma tant’è. Nel mio piccolo, ci sono poche materie di cui mi occupo con costanza e che conosco un pochino (ma potrei conoscere molto di più, visto che di imparare non si smette mai): la giurisprudenza (una parte), la letteratura (una parte), il mondo dei canidi e degli akita, la ricetta perfetta per cucinare un risotto piselli e prosciutto crudo per il proprio ragazzo, come rompere ogni volta un pezzetto diverso della doccia del suddetto ragazzo e la musica classica. Beethoven, in particolare. Sto tentando, poi, di avvicinarmi al mondo della lirica.

Quindi a chi mi dice: «non hai studiato al Conservatorio, non puoi parlare a ragion veduta!» rispondo: «col cazzo!» (ri-scusate il francesismo). Se vado dal macellaio e quello mi taglia la carne di traverso col risultato che, una volta cotta, diventa ‘na ciabatta, gli dico che ha fatto una stupidata. Anche se non sono una macellaia (ok, non c’entra nulla con l’arte e la musica, ma la sostanza è questa).

Comunque, veniamo al punto.

Fatemi dire, anzitutto, che trovo molto triste che un’artista ritenga che, per tornare a far parlare di sé, sia necessario “spararla grossa”, possibilmente fuori dal coro. È un atteggiamento paragonabile, se vogliamo, alle uscite demenziali che hanno caratterizzato la politica di questi ultimi giorni (ogni riferimento a Calderoli non è puramente casuale).

Non tolgo nulla ad Allevi, anzi: che piaccia o meno, ha il gran merito di aver avvicinato al mondo della musica classica molti giovani (e non). Senza contare che è legato a un periodo molto felice della mia vita, alcuni pezzi in particolare (Vento d’europa e Il Bacio anzitutto). Conosco molto bene la sua opera. Mi piace come compositore di “musica leggera” (passatemi la definizione) e in quanto artista che ha voluto raggiungere col pianoforte una fetta di pubblico prima lontana.

Al tempo stesso, però, lo detesto quando disprezza la Musica Classica e quando si atteggia a direttore d’orchestra (ho ancora davanti agli occhi la triste scena di lui che prova — e non riesce — a dirigere il concerto di Natale al Senato). Mi piacciono molto quasi tutte le sue composizioni per pianoforte, ma quelle per (piano e) orchestra… brrrr. Penso di aver ascoltato Evolution (il cd) due volte (e solo perché, prima di giudicare ascolto sempre almeno due volte) per poi mollarlo sul fondo di un cassetto. E ci provo a dimenticarlo, ma penso mi servirebbe un po’ di psicanalisi.

Insomma, Allevi per me è un po’ come la Stephenie Meyer della musica: scribacchia, non eccelle, ha un grande seguito non ingiustificato, la sua trama è per gran parte inconsistente, eppure raggiunge il suo scopo se letta (ascoltato, in questo caso) sotto l’ombrellone, per rilassarsi con una cosetta leggera.

Ora, venendo a Beethoven.

A prescindere dal significato che Allevi avrà voluto dare alla parola “ritmo” (accezione strettamente tecnica o “ritmo” nel senso di “ballabile”?), per spiegare perché Beethoven sia passato alla storia grazie al ritmo, basterebbero quattro parole:

Breve-Breve-Breve-Lunga

Ma vogliamo fare di più? Facciamolo.

O meglio, ascoltiamo di più, ché tanto le parole non servono.

L’Allegretto della Settima (conosciuto da quasi tutti come la colonna sonora di Edward Mani di Forbice). Per inciso, la Settima (e, in particolare, il secondo movimento) è la mia Sinfonia preferita. Immaginate di essere a una festa. Avete il cuore in tumulto per qualcosa che vi turba. Avete bisogno di aria, quindi uscite su un grande terrazzo illuminato solo dal chiar di luna. Siete soli. Dietro di voi, la musica spensierata continua a intrattenere gli ospiti. Dentro di voi, si agitano pensieri cupi. Ma poi Qualcuno vi raggiunge, la musica della sala e quella del vostro cuore si uniscono. Torna il sereno. O forse no. Comunque, se non ricordo male, per il ritmo di questo secondo movimento Beethoven ha scomodato la metrica degli antichi greci:

Lo Scherzo della Nona:

Osiamo di più. Sonata “Al chiaro di luna”, terzo movimento:

Torniamo alle Sinfonie. L’Eroica:

Ma arriviamo, rapidamente, al gran finale: la Sonata n. 32, op. 111. Ascoltate questo pezzetto:

Cosa vi ricorda? Ecco. Jazz, esatto.

Risale all’ultimo periodo e, quando l’ha composta, Beethoven era completamente sordo. Ci sono lunghiiiiiissime e complicatiiiiiissime discussioni che riguardano quest’opera, basta un giretto in rete per farvi un’idea (secondo alcuni Beethoven non sarebbe l’autore della n. 32, tanto per dirne una). È innegabile, comunque, che il ritmo scelto dal compositore fosse, per l’epoca, rivoluzionario. Beethoven sperimentava, anche nel ritmo. Un ritmo che diventava solo suo, oserei dire proverbiale (basti pensare alla Quinta).

E allora sì, Beethoven aveva ritmo ed è passato alla storia (anche) per il suo ritmo.

E, a questo punto, viene da chiedersi chi tra i due sia il sordo. Beethoven, che componeva la Nona e si rammaricava di non poterla ascoltare, o Allevi, che per tornare a far parlare di sé deve spararle grosse?

Ai posteri e alla storia, l’ardua sentenza.

The Great Catsby

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È una di quelle volte in cui non so se ridere o piangere…


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Il Divo

andreotti

«Dunque, andando in ordine alfabetico, domani toccherebbe alla B…»

«Essì, mamma. Quindi Berl…»

«Macché. Con la sfiga che ha tocca a Bersani. Berlusconi lo saltano o lo segnano assente. Vedrai.»

 


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Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco: qualche aggiornamento sulle ristampe senza unicorni

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Come chi mi segue su Finzioni ben sa, circa un mese fa ho partecipato a una tavola rotonda tra gli editor Mondadori de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, Sergio Altieri e altri fan/lettori/blogger/redattori appassionati della saga in questione.

Lo scopo? Discutere dei numerosi problemi relativi all’edizione italiana da molti (me compresa) definita vergognosa, a partire dalle copertine fino ad arrivare a refusi ed errori vari.
Il piatto forte dell’incontro (il cui resoconto completo potete leggere qui) consisteva nel tête-à-tête con Sergio Altieri, che ha curato la traduzione italiana. Dopo averlo legato, imbavagliato e minacciato di gettarlo dall’alto della Barriera prima di darlo in pasto a Spettro, abbiamo potuto confrontarci, capire il perché delle sue scelte e dire la nostra.
Sì, anche sul cervo trasformato in unicorno.
Soprattutto sul cervo trasformato in unicorno.

Inoltre, dopo averci rassicurati sulle edizioni future, i refusi e gli spoiler in quarta di copertina quel tanto che bastava per rabbonirci e approfittare della nostra distrazione per slegare il povero Altieri, i responsabili ci hanno mostrato quelli che saranno i progetti futuri volti a far conoscere al grande pubblico italiano il resto dell’immensa opera di Martin (che si sta rivelando, e in Mondadori l’hanno finalmente capito, una gran bella gallina dalle uova d’oro), Cronache a parte.

Ebbene.
Come ho già avuto modo di dire, ho trovato l’iniziativa di Mondadori decisamente apprezzabile. Mettersi in gioco, chiedere il parere e il consiglio dei lettori, dimostrare umiltà e disponibilità, non è da tutti. E forse, diciamolo senza troppi peli sulla lingua, non è una cosa che ti aspetteresti da una casa editrice di questa mole.

Qualche giorno dopo il meeting, ci è stato chiesto di preparare un file con gli errori di cui eravamo a conoscenza. Lavoro gratis da parte nostra? Non siamo ingenui: a Mondadori ha fatto comodo il nostro intervento. Si trattava, però, di errori che (almeno per quello che mi riguarda) avevamo già segnalato. Il più stava nel raccoglierli e metterli in forma “presentabile”. In ogni caso sono certa che i testi siano comunque passati al vaglio di editor e redattori vari che avranno apportato ulteriori correzioni. Ulteriori rispetto a quelle segnalate da tutti noi, intendo. Diciamo che sono fiduciosa (e ottimista di natura).

Certo, sempre riprendendo il discorso che facevo su Finzioni, bisognerà vedere se le promesse verranno mantenute ma, per ora, non possiamo lamentarci. E lo dico perché proprio ieri pomeriggio ho ricevuto una e-mail contenente il resoconto di quanto effettuato finora. Inizio ad accennarvi qualcosa:

anzitutto, sono stati mandati in stampa e saranno disponibili in libreria, presumibilmente gli ultimissimi giorni di aprile, i seguenti volumi:

Il Trono di spade 3 (corrispondente all’originale A Storm of Swords in precedenza suddiviso, nell’edizione italiana, in Tempesta di spade, I fiumi della guerra e Il portale delle tenebre);

– il secondo volume in edizione deluxe “in pelle di drago”;

I fuochi di Valyria in edizione Oscar.

In tutti e tre i casi, ci informano da casa Mondadori, sono stati corretti, nel limite del possibile, gli errori e i refusi da noi segnalati.

Infine, prima dell’estate sono in arrivo, in un unico blocco, i primi tre volumi di Wild Cards: L’origine, L’invasione e L’assalto.
Da segnalare, in questo caso, sono le copertine: molto curate, tutta un’altra cosa rispetto a quelle delle Cronache in edizione Oscar.
Che diciamocelo, ho ancora gli incubi se ripenso a quella del Regno dei Lupi.
I Crociati. Brrrrr.


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Concorso letterario: Donne, parole che lasciano il segno

Photo credit: reverendtimothy

(Articolo originariamente pubblicato su Finzioni)

Se siete donne, vivete in Italia e avete avuto, vostro malgrado, esperienza di violenza diretta o indiretta nelle sue innumerevoli forme, sappiate che l’Associazione Mafalda-VocidiDONNE, in collaborazione con le Associazioni NON SEI SOLA e Donne Nuove, ha indetto il Concorso letterario nazionale Donne, parole che lasciano il segno rivolto, come si diceva poco sopra, alle donne che hanno avuto esperienza di violenza diretta o indiretta, in ogni sua forma, per offrire alle stesse un’opportunità di espressione e condivisione.

Il concorso, gratuito, si articola in due sezioni:

A. Racconti brevi (fino a un massimo di n. 10 fogli A4 carattere 12);

B. Poesie (fino a un massimo di tre composte da non più di 36 righe).

Ogni autrice potrà inviare opere per una sola delle due categorie purché non siano già state premiate o segnalate in altri concorsi.

Vista la delicatezza dell’argomento trattato è prevista la possibilità, per le donne che lo desiderano, di partecipare utilizzando uno pseudonimo o richiedendo l’anonimato.

Le opere possono essere inviate a VocidiDONNE sia in formato cartaceo sia in formato elettronico, entro le ore 24 del 10 dicembre 2012.

Ogni sezione vedrà tre vincitori che riceveranno:

Sezione A.

1° classificato: assegno di € 300

2° classificato: assegno di € 200

3° classificato: assegno di € 100

Sezione B.

1° classificato: assegno di € 300

2° classificato: assegno di € 200

3° classificato: assegno di € 100

Inoltre, è prevista la pubblicazione delle prime 20 poesie e dei primi 10 racconti brevi, mentre tutte le opere non vincitrici verranno rese disponibili sul sito dell’Associazione (previa autorizzazione esplicita dell’autrice) ed entreranno così a far parte della raccolta di testimonianze che il concorso mira a raccogliere e diffondere.

La cerimonia di premiazione si terrà a Biella l’8 marzo 2013.

Per ogni ulteriore informazione vi invito a consultare il sito dell’Associazione VocidiDONNE, dal quale potrete scaricare il bando completo del concorso, o a scrivere all’indirizzo e-mail: mafaldavocididonne@gmail.com.


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Santanché, La Russa, centri antiviolenza e ipocrisia italiana

Io, ieri pomeriggio, ero in Piazza Scala, a Milano. Tra gli sguardi indifferenti, scettici e, spesso, ironici della gente che badava bene a passare lontano per non incrociare quelle pazze che avevano messo a terra dei busti di donna con sopra un cuore e chissà cosa e che, invece, manifestavano solo per ottenere una legge contro la violenza sulle donne.

Perché la Lombardia, il fiore all’occhiello dello Stato italiano secondo alcuni, all’alba del 2012 è l’unica regione italiana a non avere ancora una legge volta a reprimere e prevenire la violenza sulle donne. E questo nonostante, solo nel 2011, i 16 centri antiviolenza lombardi che arrancano grazie agli sforzi delle volontarie abbiano dato assistenza a quasi 3000 donne (2782 casi registrati).

A un certo punto, tra gli slogan delle manifestanti, si è alzata una gioconda voce maschile: «Uccideteli nel sonno con una padellata, questi mariti violenti!» Alcune hanno riso. Io no. Perché la si butta sempre sul ridere, mentre l’argomento è maledettamente serio e degno di attenzione.

Soprattutto in uno Stato in cui, mentre la Santanché e La Russa sfilano ed espongono striscioni in Galleria Vittorio Emanuele salvo poi invocare l’immunità parlamentare, le volontarie dei centri antiviolenza sono guardate a vista da polizia e carabinieri con tanto di agenti in borghese, camionette e area delimitata da transenne. Ci mancava solo la tenuta anti-sommossa.

Sono schifata e demoralizzata.


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Il Capodanno di Mario Monti

Ecco la (sublime) risposta del presidente Monti, tramite comunicato stampa, all’interrogazione a risposta scritta di Roberto Calderoli.

Siamo solo al 4 gennaio, ma credo che si possa ritenere a ragion veduta che ci troviamo di fronte al miglior comunicato stampa di quest’anno (salvo altre future risposte a domande stupide, ovviamente). Anzi, per dirla “alla Boris”, ci troviamo sicuramente di fronte al Roberto Saviano dei comunicati stampa.

Detto ciò, buona lettura!

Il Presidente del Consiglio ha appreso da fonti di stampa che il Senatore Roberto Calderoli avrebbe presentato in data odierna un’interrogazione a risposta scritta con la quale chiede di dar conto delle modalità di svolgimento della cena del 31 dicembre 2011 del medesimo Presidente del Consiglio.

Il Presidente Monti precisa che non c’è stato alcun tipo di festeggiamento presso Palazzo Chigi, ma si è tenuta presso l’appartamento, residenza di servizio del Presidente del Consiglio, una semplice cena di natura privata, dalle ore 20.00 del 31 dicembre 2011 alle ore 00.15 del 1° gennaio 2012, alla quale hanno partecipato: Mario Monti e la moglie, a titolo di residenti pro tempore nell’appartamento suddetto, nonché quali invitati la figlia e il figlio, con i rispettivi coniugi, una sorella della signora Monti con il coniuge, quattro bambini, nipoti dei coniugi Monti, di età compresa tra un anno e mezzo e i sei anni.

Tutti gli invitati alla cena, che hanno trascorso a Roma il periodo dal 27 dicembre al 2 gennaio, risiedevano all’Hotel Nazionale, ovviamente a loro spese.

Gli oneri della serata sono stati sostenuti personalmente da Mario Monti, che, come l’interrogante ricorderà, ha rinunciato alle remunerazioni previste per le posizioni di Presidente del Consiglio e di Ministro dell’economia e delle finanze.

Gli acquisti sono stati effettuati dalla signora Monti a proprie spese presso alcuni negozi siti in Piazza Santa Emerenziana (tortellini e dolce) e in via Cola di Rienzo (cotechino e lenticchie).

La cena è stata preparata e servita in tavola dalla signora Monti. Non vi è perciò stato alcun onere diretto o indiretto per spese di personale.

Il Presidente Monti non si sente tuttavia di escludere che, in relazione al numero relativamente elevato degli invitati (10 ospiti), possano esservi stati per l’Amministrazione di Palazzo Chigi oneri lievemente superiori a quelli abituali per quanto riguarda il consumo di energia elettrica, gas e acqua corrente.

Nel dare risposta al Senatore Calderoli, il Presidente Monti esprime la propria gratitudine per la richiesta di chiarimenti, poiché anche a suo parere sarebbe “inopportuno e offensivo verso i cittadini organizzare una festa utilizzando strutture e personale pubblici”. Come risulta dalle circostanze di fatto sopra indicate, non si è trattato di “una festa” organizzata “utilizzando strutture e personale pubblici”.

D’altronde il Presidente Monti evita accuratamente di utilizzare mezzi dello Stato se non per ragioni strettamente legate all’esercizio delle sue funzioni, quali gli incontri con rappresentanti istituzionali o con membri di governo stranieri. Pertanto, il Presidente, per raggiungere il proprio domicilio a Milano, utilizza il treno, a meno che non siano previsti la partenza o l’arrivo a Milano da un viaggio ufficiale.

Se siete curiosi di sapere cosa ne pensa il popolo di Twitter, seguite l’hashtag #cotechinoelenticchie!


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Abortire nella terra degli obiettori

Mi preme segnalare questo articolo, riportato anche da un sito che, già che ci sono, vi consiglio di tenere d’occhio: Zero Violenza Donne.

Chi segue Diritto (in)civile da un po’ sa già come la penso sull’aborto. Chi, invece, passa di qua per la prima volta, può dare un’occhiata a questo post (commenti compresi). Questo solo per dire: non sono favorevole all’aborto inteso come “contraccettivo ritardato” e, personalmente, credo non abortirei mai (ma, dopotutto, mai dire mai, che in certe situazioni bisogna trovarcisi).

Nonostante questo, ritengo che ci siano delle situazioni in cui, purtroppo, l’aborto debba essere preso in considerazione e penso che fare di questa scelta di per sé già difficile e dolorosa un interminabile percorso a ostacoli sia un atto di egoismo e violenza.

Perché leggendo le storie di queste donne, davvero non capisco come si possa essere tanto insensibili da abbandonarle a se stesse in simili momenti (intendo soprattutto dopo l’aborto, ma leggendo l’articolo capirete a cosa mi riferisco). Non credo spetti all’uomo (inteso come essere umano e non come essere di sesso maschile) giudicare, in questi casi. Tanto più lasciando queste donne da sole per ore, con il feto che hanno espulso tra le gambe, ancora caldo. Umanamente, mi sa tanto di crudeltà gratuita.

Ora. Non voglio aprire un dibattito sul tema “aborto sì/no”. Ce ne sono già troppi e verrebbe fuori un pandemonio. Vorrei solo che, dopo aver letto l’articolo linkato, tutti provassero a mettere da parte convinzioni politiche/religiose/sociali e a porsi, semplicemente, nei panni di chi ha appena perso un figlio che, per un motivo o per l’altro, non potrà mai stringere tra le braccia.

Buona lettura.


Di Langone, donne, commenti e altro ancora

Okkei ragazzi, basta così.

I punti di vista di tutti sono stati espressi, analizzati e sviscerati e direi che, se non avete trovato un punto d’incontro finora, non lo troverete più.

La vostra l’avete detta, ai posteri l’ardua sentenza.

Di mio mi sono astenuta dal commentare oltre. D’altronde: non ho commentato l’articolo da cui nasce la “provocazione” di Langone (anche se la mia opinione, da quel poco che ho scritto anche nelle risposte ai vostri commenti, direi che è emersa eccome, a differenza di quanto detto da qualcuno qui), quindi mi sembra logica, come scelta, quella di non commentare altre “provocazioni”.

Tanto più che gli integralisti cattolici non li reggo (e sì, rivelazione: sono cattolica anch’io, pensa un po’) ed è incredibile, per la mia piccola testolina, che nel 2011 si debbano ancora fare discorsi simili, a prescindere dall’articolo in commento.

Che la donna abbia come qualità naturale (e come dono) quella di procreare è un conto. Da qui a dire che il suo unico compito sulla terra sia questo ce ne passa di acqua sotto i ponti. Tanto più che, a casa mia almeno, a far figli si è in due. Non è che l’uomo “getti il seme” e basta. Troppo semplice così. E, grazie al cielo, nella mia vita di uomini simili non ne ho mai incontrati (e, se l’ho fatto, li ho allontanati senza farmi troppi scrupoli).

Sul fatto, poi, che una donna debba sentirsi realizzata solo adempiendo alla sua funzione di madre, di nuovo, non sono d’accordo. Sempre volendo porla in un’ottica di Fede (non di teologia, ma di pura e semplice Fede), da credente mi rifiuto di pensare che le doti che Dio mi ha dato oltre a quella di poter, in futuro, portare in grembo un figlio, debbano essere messe da parte. E probabilmente saranno stati idioti i miei catechisti (uomini e donne, tengo a specificarlo), che mi hanno sempre inculcato queste malsane idee.

Tra queste doti c’è anche quella di saper studiare, di saper portare avanti le mie idee, di essere in grado di fare un sacco di cose che con la maternità non c’entrano nulla. Lavorare, per esempio. Voler portare avanti una carriera (senza metterla in primo piano rispetto alla famiglia, ma questo mi pare comunque sia affar mio). Voler rendere orgogliosi di me i miei genitori e non solo perché saprò (spero) essere una brava madre, ma anche e soprattutto perché porto avanti i miei progetti e mi realizzo.

Ché una donna realizzata (e, badate bene, in qualsiasi modo ritenga di potersi realizzare), a parer mio, i figli li cresce molto meglio.

Bollare poi la cultura come demonio che ha snaturato l’essere umano mi pare un po’ eccessivo. Soprattutto quando, per dare sostegno alle proprie affermazioni, si ricorre a soggetti che, guarda un po’, la cultura hanno contribuito a crearla, nel bene e nel male. E’ un tantinello illogico.

Detto ciò: commenti chiusi. E non perché non abbia voglia di continuare a moderare, ma perché, ohibò, ho altro da fare e ben poca attenzione da dedicare ai commenti qui sul blog, e non voglio perciò rischiare di pubblicare insulti o simili (va be’ che la Cassazione ha specificato che non andrei negli impicci io, ma meglio evitare comunque).

Della serie: visto che, almeno per ora, alle donne è ancora consentito studiare ne approfitto e mi porto avanti.

Baci e abbracci!