Appunti di diritto (in)civile.

Bibliotecaria mancata. Studentessa quando capita. Giurista in divenire.


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E visto che si avvicina Natale… le palline di Argo!

Doverose premesse:

1) la mia camera è in mansarda, mentre il resto della casa è al primo piano;

2) Argo è solito giocare con le palline da tennis;

3) Argo ha 6 mesi.

Detto ciò. Conversazione tra me (in mansarda) e mio padre (in salotto):

«Clarinette! Senti!»

«Cosa?»

«Ma a te risulta che le palline di Argo possano essere una su e l’altra giù?»

«Uhm. No! Sono quasi sicura che siano tutte e due giù!»

«Ma no, ho controllato stamattina! Una è su e l’altra è giù!»

«No, adesso guardo, ‘spetta… no ti assicuro che quassù non c’è niente! Guarda che sarà giù, magari in giardino!»

«…»

«…»

«Ma io, veramente…»

«Ah

«Eh.»

Mia madre è da qualche ora che, ogni volta che mi vede, scoppia a ridermi in faccia. Argo, appena gli passo accanto, sbuffa sonoramente.

Qualcuno cortesemente mi passi una scala: il pero è troppo alto e a scender così rischio di farmi male. Grazie.

(E comunque si dice testicoli, che qui non siamo alla Rai e le cose le chiamiamo con il loro nome. Perdiana!)


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Non voglio pensare.

È che non voglio pensare al fatto che il mio Paese sta andando a rotoli per colpa di una massa di idioti che “fa politica” solo perché è conveniente al giorno d’oggi. Perché fa figo. Perché si fanno soldi facili.

Non voglio pensare che potremmo finire in bancarotta. Che un omuncolo piccolo piccolo con un ego smisurato rischia di far cadere uno Stato intero solo perché non ha le palle di farsi da parte.

E anche se lo facesse, d’altronde, cosa cambierebbe? Forse nulla. Ma… affrontiamo un problema alla volta.

Non voglio pensare che un gruppo di idioti sta distruggendo il mio futuro e quello di migliaia di altre persone. Non ci voglio pensare, non voglio innervosirmi. Non voglio piangere dal dolore e dalla rabbia.

E allora faccio altro. Tengo la mente impegnata.

Per non pensare che il mio Bel Paese sta andando a puttane e che non posso fare nulla per impedirlo.


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Io ci sono, eh.

Ci sono, ci sono. Solo che da poco più di una settimana è arrivato lui:

E ha assorbito quasi tutto il mio tempo e tuuuutte le mie energie.

Di scrivere cose serie non ho tempo né voglia, quindi per l’estate mi trovate qui: Un Akita per Amico.

Vi aspetto!

p.s.: da queste parti ci rivediamo a settembre.


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I figli della “vecchia generazione”.

Prima pagina del Corriere della Sera On-line di oggi, titolone: Video con la compagne di classe, il mercato proibito su Internet.

Smaltita la prima reazione del tipo: “MA VA?!?!?! Ma pensa te, che scoop il Corriere! ‘spetta che lo faccio presente a quelli del Pulitzer!” ho iniziato a pensarci su. E ad innervosirmi alquanto.
Perché personalmente non condivido quello che fanno i ragazzini in questione. Anzi. In un primissimo momento è venuto anche a me da dire “ah, queste nuove generazioni! Dove andremo a finire?”
La prima, acida e istintiva reazione, è quasi sempre questa, bando alle ipocrisie. Il vecchio, il nostro stile è perfetto. Il nuovo fa schifo. Punto. Fine della discussione (che poi io di anni ne ho 24, intendiamoci, non è che sia proprio lontanissima da questa fantomatica nuova generazione – echioseràdireilcontrariodovràvederselaconmeperchéiosonoccciofane).
Poi, però, se si ha un minimo di cervello, si comincia a riflettere.

Perché i ragazzini si comportano così?
Se li sono inventati questi comportamenti? Vengono istintivi? O forse sono il prodotto di quello che li circonda, dell’ambiente in cui vivono, dell’educazione che ricevono?
La conferma ce l’hai se accendi la tv. A qualsiasi orario. E non parlo solo delle pubblicità, no no. Mai provato a sintonizzarvi su Italia 1 verso le 12.30? C’è Studio Aperto. I primi dieci minuti, di solito e se davvero non possono farne a meno, li dedicano a Yara, Sarah Scazzi, Melania e così via. O a buttar fango sui giovani sovversivi di sinistra che usano un terribile strumento demoniaco chiamato Twitter per lanciare invettive violente contro un certo povero martire di nostra conoscenza. Gli ulteriori venti minuti sono dedicati a servizi acculturatissimi come “Studi scientifici hanno dimostrato che le donne col seno rifatto e le labbra carnose piacciono di più agli uomini” (giuro che il servizio esiste veramente; forse il titolo è diverso, ma la sostanza è questa) o “Guarda la velina, che l’han beccata a prendere il sole tutta ignuda!” oppure, ancora, “Ecco a voi, in anteprima, gli scatti del nuovo calendario super sexy di Tizia!“.
Con tutte le immagini, naturalmente.

Alle 12.30.

Poi esci di casa. Toh, guarda che bella gnocca sul cartellone pubblicitario!
Leggi il giornale: chissà chi sarà rimasto coinvolto nell’ultimo scandalo politico a sfondo sessuale! Andiamo a vedere! O, guarda questa qui! E’ diventata Ministro/Consigliere/Pezzo grosso di un’azienda perché l’ha data via. Ed è stato beccato un video su You Tube in cui…

E allora mi fanno ridere i giornalisti che demonizzano (o trattano da deficienti) questi giovincelli depravati. E mi fa ridere chi commenta inneggiando a una vecchia generazione perfetta e idilliaca in cui nessuno si sarebbe mai sognato di comportarsi in questo modo scandaloso. Perché questi giovani d’oggi, insomma, bisognerebbe mandarli nei campi militari! E le ragazze a far da infermiere nelle case di riposo! (Commento reale all’articolo di cui sopra).

E proprio a queste generazioni così morigerate pongo la mia domanda: ma l’Italia, anzi, il mondo così com’è oggi, chi l’ha creato? Chi l’ha creata questa società basata sulla (s)mercificazione del corpo femminile?
L’ha creata il ragazzino di 15 anni che oggi considera le compagne di classe come oggetti? La ragazzina che vende il suo corpo per le ricariche telefoniche perché “tanto è normale e oggi si fa così”? Si sono educati da soli questi terribili giovani? Non hanno, forse, preso esempio da chi avrebbe dovuto educarli?
E allora di chi è la colpa? Dei ragazzini che si sono rimbambiti e non sanno più rispettare i genitori e le loro regole o, magari eh, dei genitori che non sanno trasmettere buoni valori ai figli? Oppure dei genitori dei genitori (scusate la ripetizione) che non hanno saputo insegnare a questi ultimi a fare il loro mestiere?

Perché va bene il conflitto generazionale, ma ora un po’ si esagera.


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Ode al mio Matisse.

Che poi, io, ogni tanto a te ci penso.
Penso alla prima notte che hai passato con noi: due mesi scarsi, stavi nel palmo di una mano e sei riuscito a tirarti addosso un albero di Natale alto due metri. Mi chiedo ancora come.
A quando ti appollaiavi sulla scala a chiocciola gialla e mi guardavi dall’alto. E vegliavi su di me giorno e notte, preparandomi gli agguati quando osavo salire a cercarti.
A quanto ti arrabbiavi se qualcuno dormiva nel mio letto. E a come mi cercavi se mancavo troppo tempo da casa.
A come “facevi la spia” quando mamma e papà erano a lavoro e io mi scordavo di cambiarti l’acqua o pulirti la lettiera.
Al giorno in cui ho portato il moroso a casa. Come lo guardavi sospettoso. Come t’ha dovuto cacciare dalla stanza perché sembrava di non volessi lasciarmi sola con lui (gelosone mio!)
A come, in giardino, schifavi erba e terra e camminavi solo ed esclusivamente sul cemento e sulle piastrelle per paura che ti si sporcassero le zampe (un po’ snob, ma… quanta classe!)
A come zoppicavi quando la mamma s’è rotta il braccio destro. Con la zampina destra, ovviamente. E a come tossivi quando lei aveva mal di gola. Che secondo me, in quel caso, un po’ la sfottevi.
Penso a come mi stavi vicino quando ero triste, silenzioso e attento. A come ti impuntavi quando volevi qualcosa, soprattutto se si trattava di coccole.
Penso agli ultimi mesi, al vecchietto che eri diventato. Un po’ sordo a dirla tutta, ma sempre tanto dolce. Un nonnino dal pelo bianco.

Poi smetto di pensare, ‘ché quello che c’è stato dopo fa ancora troppo male.

Una cosa però, della situazione attuale, devo assolutamente dirla: l’erba sul punto in cui ti abbiamo seppellito l’abbiamo seminata una decina di volte, ormai. E ancora stenta a crescere. Ti faceva proprio schifo, eh!


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Non ci sono più dubbi.

Costi della politica (a cura di Giulio Tremonti).

Art. 2 (“Auto blu”)

La cilindrata delle auto in servizio non può superare i 1600 cc.

Fanno eccezione le auto in dotazione al capo dello Stato, ai Presidenti di Camera e Senato, al presidente del Consiglio e le auto blindate adibite ai servizi istituzionali di pubblica sicurezza.

Le auto ad oggi in servizio possono essere utilizzate solo fino alla loro dismissione o rottamazione e non possono essere sostituite.

Ci prendono per il culo.

Ormai è ufficiale.


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La ragazza fantasma [rece]

Lo ammetto: “American Gods” non sono riuscita a finirlo per ora. Non che non mi piaccia, anzi, lo trovo splendido e scritto divinamente. Venderei un rene pur di saper scrivere come Gaiman ha scritto questo romanzo. Ho già letto altri suoi romanzi. Li ho trovati interessanti, ricchi di idee, ben scritti, ma ad affascinarmi erano più i contenuti che lo stile.
In questo caso invece no. Gaiman è perfetto. Punto. Dialoghi, descrizioni, caratterizzazione dei personaggi, uso del punto di vista. Perfetto.
Però non sono in vena di leggerlo. Forse proprio perché non voglio sprecare una lettura simile ora, che so di non avere lo spirito giusto per apprezzarla appieno. Prima o poi lo finirò, promesso.
Ho letto altro, in compenso, qualcosa di più leggero (ok, anche il manuale di procedura penale, ma non lo qualifico tra le letture leggere), ovverosia “La ragazza fantasma” di Sophie Kinsella.

Dopo “La signora dei funerali” mi sono tenuta lontana da quest’autrice per un po’, tanto grande è stata la delusione. Alla fine, però, non ce l’ho più fatta: io, alla Sophie, ci voglio troppo bene. Fa sorridere in modo garbato, scrive bene e, soprattutto, non si monta la testa.
I suoi romanzi sono così: freschi, leggeri, una ventata di buonumore. Magari le sue protagoniste sono un po’ matte, di sicuro a volte ti verrebbe da immergerle con tutti i loro vestitini griffati in un bel bagno di realtà, ma poi si fanno perdonare (quasi sempre).
 Ad ogni modo, non considerando “La signora dei funerali” che appartiene alla vecchia vita della Sophie, io coi suoi libri mi ci diverto un sacco.
E così è successo con “La ragazza fantasma” e devo ammetterlo: era dai tempi de “La regina della casa” che un suo romanzo non mi procurava delle risate tanto sane e spensierate.

La storia, in breve, è questa: Lara è una ragazza come tante, appena tornata single e con manie da stalker, indebitata fino al collo, con una famiglia sui generis. Una bel giorno è costretta, per salvare le apparenze, a partecipare insieme alla sua famiglia al funerale di una prozia della cui esistenza è a malapena a conoscenza. Peccato che, nel bel mezzo del funerale, il fantasma della suddetta prozia, che di nome fa Sadie, decida di apparirle (acquisendo le sembianze di una prozia fanciulla, appena ventenne) per affidarle un arduo compito: recuperare la sua collana prima che il suo corpo venga cremato. Mission impossible, visto che la cremazione è prevista subito dopo il funerale.
Lara è dunque costretta a fermare la cerimonia al grido di: “Credo che la zia sia stata assassinata!” con tutto quel che l’escamotage comporta. E’ l’inizio di un’amicizia fuori dal comune, che vedrà Lara al seguito di Sadie, un’eccentrica fantasmina in tenuta anni  ’20, molto più scaltra e disinibita della sua giovane pronipote.
Sarà un’avventura piena di intrighi, sfide, enigmi vari ed eventuali con tanto di piccolo giallo sulla storia dell’arte da risolvere, giusto per non farci mancare nulla.

C’è la storia d’amore, come in ogni romanzo kinselliano che si rispetti. Ed è molto carina, anche se non originalissima.

Lo stile. Be’, lo stile è quello della Kinsella nei suoi momenti migliori, spumeggiante e mai lezioso.
I personaggi sono ben curati, tragici quanto basta per non ridurli a banali macchiette. L’ambientazione è, come al solito, molto dettagliata e ricca di riferimenti alla Londra dei giorni nostri.

Un bel libro per trascorrere qualche ora in allegria, insomma.
Consigliato!


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Violenza domestica: chi è il maltrattatore?

La violenza contro le donne va inserita nel più generale quadro della violenza di genere ed è oggi riconosciuta dalla comunità internazionale come una violazione dei diritti umani.
Include ogni azione violenta, sia essa fisica o psicologica, perpetrata da uomini o da istituzioni patriarcali nei confronti delle donne in quanto appartenenti al genere femminile.
Molte culture, credenze e persino leggi e istituzioni legittimano ancora oggi la violenza contro le donne, diffusa come piaga sociale (colpisce donne di qualsiasi età, religione, cultura, livello di istruzione, estrazione sociale) e, nonostante questo, spesso dimenticata.
A differenza di quanto si potrebbe credere, il tipo di violenza contro le donne più diffusa è quella perpetrata in famiglia dal proprio partner o ex partner: la violenza domestica.

Ma chi è il maltrattatore?
Quando si pensa a un uomo violento, subito il pensiero va a un emarginato sociale, individuabile a prima vista come persona pericolosa, magari vestito male, con qualche tatuaggio. Tutto muscoli. Un ribelle, insomma, da cui tenersi ben alla larga.
Non è così.
L’85% dei maltrattatori è costituito da uomini stimati socialmente, impiegati o liberi professionisti. E i dati sono confermati dalla pratica: nella mia seppur breve esperienza ho avuto per lo più a che fare con donne maltrattate il cui compagno era stimatissimo socialmente (volontari, consiglieri comunali e via dicendo). Si tratta di soggetti in grado di controllarsi fuori dall’ambiente domestico, violenti solo con la propria partner.
Più di rado (il restante 15%) si tratta, invece, di uomini già noti ai Servizi Sociali e alle Forze dell’Ordine perché violenti anche in altri contesti oltre a quello familiare.
Spesso si tratta di tipi possessivi, gelosi e, in quanto tali, insicuri e fortemente dipendenti dalla propria vittima (a tal punto che, se hanno paura di perderla, possono arrivare a ucciderla). Individui deboli che sentono il bisogno di esercitare potere sulla loro compagna e di controllarla, ricorrendo a mezzi che, di fatto, sono gli stessi per ogni situazione di violenza domestica (per approfondire si veda l’articolo sulla spirale della violenza domestica).
La maggior parte dei maltrattatori ha una visione rigida e tradizionale della vita e dei ruoli fra uomini e donne, visione che il più delle volte è conseguenza della cultura e dell’educazione cui sono stati sottoposti. E’, infatti, circa il 60% di essi ad aver subito maltrattamenti o ad essere stato spettatore di violenza.

Diverse teorie sono state elaborate nel corso degli anni, prima fra tutte quella che vorrebbe l’uomo violento malato, da curare. Si tratta di una teoria che non trova riscontri psicologici, tanto più che, come appena visto, il più delle volte i violenti lo sono solo con le loro vittime e questo non corrisponde al profilo di persone malate di mente.
Altra teoria è quella della c.d. famiglia conflittuale che mette sullo stesso piano vittima e carnefice, senza tener conto che nel caso di specie non si parla di conflitto bensì di violenza e non ci si trova di fronte a una situazione simmetrica quanto asimmetrica. E con questo si risponde anche a quelli che ogni volta scattano dicendo che allora “qualsiasi lite è considerabile violenza domestica”. Certo che no. La conflittualità fa parte della vita di coppia, ma un litigio “normale” vede i partners su un piano di parità e non di supremazia dell’uno sull’altra.
Ulteriore teoria descrive la violenza come “perdita di controllo” ed è contraddetta dallo stesso ragionamento svolto in merito al “violento malato”.

Alla luce di quanto appena detto, dunque, le cause della violenza domestica sono raramente imputabili a origini fisiologiche o biologiche.

Quanto all’abuso di alcol e stupefacenti, non è credibile a mio parere chi individua negli stessi le uniche cause dirette della violenza. Più volte mi è capitato di sentire ragionamenti come: “mio marito è violento, ma poverino è colpa dell’alcol. Se non beve non mi pesta, si limita a strillarmi contro”. Alcol e droghe non sono la causa del maltrattamento (che, anche nel caso appena descritto, sussiste comunque dal punto di vista psicologico), ma incrementano il comportamento violento poiché riducono le inibizioni e la capacità di autocontrollo.

Quanto alla sostanza, il comportamento violento può manifestarsi, dal punto di vista fisico, nei modi più svariati: spintoni, schiaffi e pugni, morsi, sputi, bruciature, tentativo di strangolamento, tortura, aggressione con arma da fuoco, pestaggio durante la gravidanza, costringere la partner ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà, commettere atti sessuali violenti o degradanti, e così via.
Altrettante possono essere le condotte in cui si sostanzia la violenza psicologica: insulti, giochi mentali, denigrazione, imposizione di comportamenti inutili e degradanti (pretendere che il pavimento venga rilavato più e più volte o – e questa l’ho sentita davvero – arrivare alle minacce e alle botte perché l’insalata non è stata sciacquata con una certa acqua e un certo quantitativo di volte, etc.), menzogne, produrre l’isolamento della vittima, eccessiva gelosia, minaccia di sottrarre i figli o di far del male agli stessi, prendere decisioni importanti senza consultare la compagna, usare la conoscenza di abusi precedenti per far pressione sulla partner, e via dicendo.

Questo un quadro generale. Riduttivo, ovvio, ma a mio parere utile per introdurre il discorso sulla violenza domestica dopo il post precedente.

Chiudo con un interrogativo: un uomo violento può cambiare?
Aspetto le vostre considerazioni.

Alla prossima.


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Pensieri sparsi.

Penso che avrò una vita bellissima. Penso che finirò di studiare, che troverò un lavoro. Non so ancora come, non so ancora dove. Ma penso che ce la farò.
Penso che mi sposerò. Che avrò un marito, due figli, un gatto e forse un cane.
Penso che vivrò in una bella casa, magari piccola ma di sicuro accogliente. Penso che i miei figli avranno un papà, una mamma e dei nonni.
Penso che saremo una bella famiglia.
Penso che organizzerò molte sorprese e che ne riceverò altrettante.
Penso che accompagnerò i miei figli a scuola, a danza, a calcetto, in piscina. Che lavorerò. E che farò una fatica immane. Ma penso che non sarò sola, e che riusciremo, insieme, a fare tutto col sorriso sulle labbra.
Penso che ci saranno momenti difficili. Litigi, sfuriate, lacrime.
Penso che la domenica mattina mi sveglierò accanto alla persona che amo, che trascorreremo il pomeriggio in un parco invaso dal sole, a giocare a palla, a farci rincorrere da un cane buffo e scodinzolante.
Penso che la sera, prima di dormire, leggerò un buon libro, crogiolandomi sotto le coperte, la testa sulla spalla di mio marito.

E voi, voi penserete che tutto questo sia banale, ordinario, noioso. O forse impossibile. Ma non per me.

Io penso che tutto quello che voglio è una famiglia felice e che lotterò per crearla, perché le premesse ci sono tutte.
Penso che sarà una magia, la più bella cui potrò mai dare vita. E che sarà capace di sorprendermi ogni giorno.


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Sondaggio (The Winner is…) e “Il cigno nero” [rece]

Ehm… non mi sono dimenticata, davvero. E’ che in questi giorni ho avuto molto da fare (lezioni ricominciate, studio da riprendere, piccoli problemi in famiglia, varie ed eventuali) e poco tempo da dedicare al blog.
Duuunque, per quanto riguarda il sondaggio, Siore e Siori, we have a winner:

Neil Gaiman, con il suo “American Gods“, si aggiudica la prossima recensione incivile. Datemi una settimanella o poco più per mettere a punto il tutto, please. Recensire Gaiman non è impresa da poco e non mi piace, ormai dovreste averlo capito, parlare di cose che non conosco bene/recensire “tanto per”.

I risultati nello specifico, comunque, sono i seguenti:

1°: American Gods (40%)
2°: Il giullare della regina (26,67%)
3° Ascolta il mio cuore (20%)
4°: Una moglie a Gerusalemme (13,3%)
5°: Carlotta e Carlotta (0%)

E io che avevo già pronta una bella stroncatura per “Una moglie a Gerusalemme”. M’ero anche preparata e documentata!
E invece mi toccherà tessere le lodi del mio adorato Neil… va be’, vi propinerò la mia vena acida tra un po’ (oppure la riserverò per La Libreria Immaginaria, che so che a Sara piacciono particolarmente le mie stroncature. Buongustaia!)

Ad ogni modo, parlando d’altro, ieri sera ho finalmente avuto modo di guardare “Il cigno nero”.
Non aspettatevi da me un commento tecnico perché non sono in grado, vi dirò invece cosa ha provato il mio stomaco.
Sì. Il mio stomaco, perché “Il cigno nero” è un film che colpisce direttamente lo stomaco. Lo pungola, lo stringe, lo accoltella, lo sminuzza. Il regista (Darren Aronofsky) gioca in modo alquanto sadico con la psicologia dei suoi personaggi, in un modo che definirei quasi “dostoevskijano”. Ti costringe a calarti nei panni di una dolce e fragile ballerina (Nina) che viene scelta da un fastidioso (e insidioso) Vincent Cassel per diventare la nuova stella della danza classica e interpretare la protagonista del famoso balletto “Il lago dei cigni”. Ma non c’è solo il ruolo di Odette ad attenderla. Nina dovrà, infatti, calarsi nei panni della gemella cattiva. Del Cigno Nero, appunto.
E qui iniziano i guai, perché Nina scoprirà pian piano la sua vera natura, tutt’altro che dolce e fragile, succube di una corsa in contro alla Perfezione (per raggiungere la quale sembra inevitabile il passaggio per la Perdizione) e al suo vero Io che la porta ad abbandonarsi all’autolesionismo e alla schizofrenia. Perché, sembra dirci Aronofsky, solo con la dolorosa distruzione di se stessi, solo con la Morte, si può raggiungere la Perfezione.

Sorprende l’interpretazione del Premio Oscar Natalie Portman, col suo viso tanto angelico quanto demoniaco che contribuisce alla creazione di un’atmosfera disturbante (è il primo aggettivo che mi viene in mente per definire questo film: disturbante).
Ah, per i maschietti: vedrete la cara Natalie intenta a tentare di raggiungere svariati orgasmi e ci sarà, sì, la tanto decantata scena lesbo. Ma se andate al cinema solo per vedere Mila Kunis con intenta a slinguazzare l’interno coscia della Portman rimarrete delusi: è un vedo non vedo. Sexy, sì, ma ben poca cosa da un punto di vista meramente sessuale.

Comunque. Un film da vedere, di sicuro. Se avete un animo sensibile, però, non aspettatevi di dormire sonni tranquilli. Ripeto: non sarà paura quella che vi piomberà addosso una volta conclusa la visione, ma ne rimarrete profondamente scossi.

Per riprendervi da “Il cigno nero”, tuttavia, potete sempre pensare che tra 10 giorni esatti arriverà… BORIS! Speriamo solo che non si tratti di un pesce d’aprile…

Alla prossima!