Appunti di diritto (in)civile.

Bibliotecaria mancata. Studentessa quando capita. Giurista in divenire.


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Concorso letterario: Donne, parole che lasciano il segno

Photo credit: reverendtimothy

(Articolo originariamente pubblicato su Finzioni)

Se siete donne, vivete in Italia e avete avuto, vostro malgrado, esperienza di violenza diretta o indiretta nelle sue innumerevoli forme, sappiate che l’Associazione Mafalda-VocidiDONNE, in collaborazione con le Associazioni NON SEI SOLA e Donne Nuove, ha indetto il Concorso letterario nazionale Donne, parole che lasciano il segno rivolto, come si diceva poco sopra, alle donne che hanno avuto esperienza di violenza diretta o indiretta, in ogni sua forma, per offrire alle stesse un’opportunità di espressione e condivisione.

Il concorso, gratuito, si articola in due sezioni:

A. Racconti brevi (fino a un massimo di n. 10 fogli A4 carattere 12);

B. Poesie (fino a un massimo di tre composte da non più di 36 righe).

Ogni autrice potrà inviare opere per una sola delle due categorie purché non siano già state premiate o segnalate in altri concorsi.

Vista la delicatezza dell’argomento trattato è prevista la possibilità, per le donne che lo desiderano, di partecipare utilizzando uno pseudonimo o richiedendo l’anonimato.

Le opere possono essere inviate a VocidiDONNE sia in formato cartaceo sia in formato elettronico, entro le ore 24 del 10 dicembre 2012.

Ogni sezione vedrà tre vincitori che riceveranno:

Sezione A.

1° classificato: assegno di € 300

2° classificato: assegno di € 200

3° classificato: assegno di € 100

Sezione B.

1° classificato: assegno di € 300

2° classificato: assegno di € 200

3° classificato: assegno di € 100

Inoltre, è prevista la pubblicazione delle prime 20 poesie e dei primi 10 racconti brevi, mentre tutte le opere non vincitrici verranno rese disponibili sul sito dell’Associazione (previa autorizzazione esplicita dell’autrice) ed entreranno così a far parte della raccolta di testimonianze che il concorso mira a raccogliere e diffondere.

La cerimonia di premiazione si terrà a Biella l’8 marzo 2013.

Per ogni ulteriore informazione vi invito a consultare il sito dell’Associazione VocidiDONNE, dal quale potrete scaricare il bando completo del concorso, o a scrivere all’indirizzo e-mail: mafaldavocididonne@gmail.com.


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Anche gli incivili cucinano: ragnetti di Halloween (senza lattosio)

Photo credit: Giallo Zafferano

Sto ancora decidendo se riaprire ufficialmente il blog o meno. Il fatto è che non sono sicura di riuscire ad aggiornarlo con una costanza degna di questo nome a causa di impegni vari ed eventuali. Inoltre twitter mi ha reso pigra, ché 140 caratteri sono più facili da scrivere rispetto a un post come si deve.

Comunque.

Tutto ciò non mi impedisce, nel frattempo, di condividere con voi una ricettina facile e veloce dedicata ad Halloween, vale a dire i ragnetti di cioccolato, ottimi se stasera vi tocca una festa a tema e non avete ancora fatto in tempo a preparare nulla.

Non si tratta di una mia invenzione, sia chiaro. Il web è pieno di ricette simili. Tuttavia, poiché tra me e Mr. Lattosio continua ad esserci maretta, ho dovuto apportare un po’ di modifiche. Quello che troverete di seguito è il risultato realizzato con ingredienti lactose-free.

Per chi avesse dubbi sulla bontà della riuscita, posso assicurare (o meglio, possono assicurarlo il Cantastorie e tutti coloro che hanno avuto modo di assaggiare il tutto) che la mancanza di lattosio non influisce per nulla sul gusto.

Per chi, fortunello, non ha litigato col lattosio, è ovvio che gli ingredienti rimangono quelli tradizionali (quindi burro invece della margarina e normali biscotti secchi invece dei Privolat; la quantità non cambia).

Ma bando alle ciance, cominciamo:

Ingredienti per l’impasto (la ricetta di base, che io ho modificato, è quella del salame di cioccolato di Giallo Zafferano, se ne ricavano una trentina di ragnetti – dipende dalle dimensioni dei singoli ragni):

  • Biscotti secchi senza lattosio (tipo Privolat): 300 g
  • Margarina Vallè (non contiene lattosio): 150 g
  • Cioccolato fondente (assicuratevi che la marca prescelta non contenga latte): 200 g
  • Rum: 2 cucchiai
  • Uova: 2
  • Zucchero: 100 grammi

 

Ingredienti per la decorazione:

  • Rotelle di liquirizia (anche qui, occhio agli ingredienti delle singole marche)
  • Sfere di zucchero color argento
  • Farina di cocco/codette di cioccolato/codette multicolore/cacao in polvere

 

Procedimento:

Sbriciolate i biscotti secchi in una ciotola capiente.

Fate ammorbidire la margarina nel microonde (o, semplicemente, tenetela fuori dal frigo una mezzoretta) e sciogliete il cioccolato fondente a bagnomaria, girando di frequente. Una volta che il cioccolato si sarà sciolto, vi raccomando di togliere il pentolino dal fornello (anche se spento) per evitare che il cioccolato si bruci (e diventi amarisssssimo). Lasciate raffreddare.

Nel frattempo, in una terrina lavorate la margarina a crema, aggiungendo pian piano lo zucchero, le uova, il rum e il cioccolato raffreddato. Amalgamate bene il composto ottenuto e unitelo ai biscotti sbriciolati. Io unisco anche una manciata di farina di cocco sia per dare sapore sia per regolare la consistenza. Mescolate il tutto.

A questo punto, è arrivato il momento di sporcarsi le mani (per la gioia dei vostri bimbi… ma anche vostra, ammettetelo). Yeeeeh! Create dall’impasto una serie di palline del diametro di 2-3 cm (ma potete anche farle più grandi, volendo): costituiranno il corpo dei vostri ragnetti.

Potete quindi procedere a decorare le palline: passatele nel cacao in polvere o nelle codette al cioccolato per ottenere un effetto realistico. In alternativa, potete creare dei ragnetti un po’ atipici passando le palline nella farina di cocco o nelle codette colorate.

Per creare gli occhietti, usate le sferette di zucchero color argento (in alternativa, sui ragnetti più chiari, potreste usare dei chicchi di caffè o delle scagliette di cioccolato).

Mancano le zampe, ma ci penseremo dopo: ora i vostri ragni devono diventare un po’ più solidi. Metteteli dunque in frigo, coperti, finché non si saranno induriti (tre-quattro ore).

Nel frattempo potrete creare le zampette: prendete le rotelle di liquirizia, srotolatele e ricavate dei pezzetti di un paio di centimetri (regolatevi in base alla grandezza delle palline fatte prima). Tutto qui.

Una volta che il corpo dei ragnetti sarà diventato meno molliccio, potrete attaccare le zampe con delicatezza, aiutandovi se necessario con uno stuzzicadenti.

Non mi resta che augurarvi felice Halloween!


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È la tua anima gemella? Te lo svela la sua libreria!

Lui è appena entrato in casa tua. Per la prima volta. Mentre gli stai preparando un drink ciondola in salotto, di fronte alla tua libreria. I suoi occhi scorrono sui volumi in rigoroso ordine alfabetico per autore e tu gongoli perché sai che è tutto perfetto: si inizia con la Alcott, che leggevi da bambina. Un po’ più avanti c’è la Allende. Nello scaffale successivo Conan Doyle e Dostoevskij ti fanno ciao ciao. Sotto di loro Hugo ammicca mentre Pennac e Pirandello si fanno una partitina a briscola.

È un momento fondamentale in ogni relazione tra lettori, l’incontro con le rispettive librerie. Questo perché dai libri posseduti (che si presume siano stati anche letti) si può capire, o almeno intuire, chi è veramente il soggetto con cui ci siamo messi. L’ordine in cui sono disposti, il loro stato, i titoli e gli autori scelti: sono tutte cose che permettono di sondare l’anima di un uomo, di leggergli dentro.

Qualche esempio? Stevenson, Salgari e O’Brian su una stessa mensola sono indizio, neanche a dirlo, di una personalità avventurosa, che non sa cosa sia la noia. La raccolta completa delle opere di Tolkien rivela una vena fantasiosa (ma occhio ai fissati). Chiunque abbia letto e apprezzato Stella del mattino merita di essere sposato. Se avvistate il trittico Vespa-Volo-Parodi, fuggite a gambe levate.

Ma è sempre così? Davvero ogni libro da noi posseduto rivela chi siamo veramente?

Per capirlo, torniamo alla nostra storia.

Anche tu hai i tuoi peccatucci. I tuoi errori di gioventù, come sei solita chiamarli. E intendo quella copia di Tre metri sopra il cielo che hai acquistato a quindici anni, su consiglio delle amiche. Ma non c’è problema. L’hai nascosta nel mobiletto del bagno in vista di questo momento. Puoi stare tranquilla, non fosse che…

A un certo punto, alle tue spalle, si materializza una figura. Ti sventola sotto il naso un volumetto nero. In copertina, due mani ti porgono una mela rossa.

Merda. Twilight.

«Ma non avevi detto che ti faceva schifo?» Suona come un’accusa e non è nemmeno velata. Sostieni il suo sguardo, ti spalmi sulla faccia una bella maschera di bronzo, la stessa che indossavi giusto la settimana prima mentre sputavi veleno sulla Meyer proprio di fronte a lui.

«È di mia cugina, l’ha lasciato qui e…»

«Tua cugina ha 7 anni.»

«Già. Precoci la bambine di oggi, non trovi?»

Ti guarda. Socchiude gli occhi. Lui sa.

E tu sai che userà tutto questo contro di te, un giorno.

Torni ai drink e decidi che è meglio abbondare con la vodka.

Il tempo passa. Lui sembra aver dimenticato il fattaccio (quel goccino di vodka in più è stato provvidenziale) ed è il tuo turno di incontrare la sua libreria.

Tanto per cominciare, lui non ha una libreria: ha una stanza intera dedicata solo ai libri. Decine, centinaia, forse un migliaio di volumi. Si parte con sette diverse edizioni della Divina Commedia. Antiche, antichissime. Una, addirittura, ha in prima pagina la dedica autografa di un Papa. Si prosegue con la Britannica originale. Montagne di libri di storia, dall’Eoarcheano ad oggi. E no! Non puoi nemmeno dire che è un tipo noioso e che se la tira con tutti ’sti libri perfetti, perché di fianco a tutto questo ben di Dio ci sono montagne di romanzi. Classici, contemporanei, tutti gli autori più importanti italiani e stranieri. Ci sono anche i fumetti d’autore, diamine. E c’è perfino una copia del Pendolo di Foucault autografata da Umberto Eco, roba che tu la guardi e cadi in ginocchio, affranta, con tanto di lacrime e mascara colante. A completare l’effetto, dalla cucina arriva la voce di Morandi: «Non son degno di teeee, ta, ta raaa, non ti merito piùùùù…».

Esplodi: «Ti prego, ti prego perdonami! Twilight è stato solo un errore di gioventù! Ti giuro che non lo faccio più…»

«E Moccia, allora? Che mi dici della copia di Tre Metri sopra il cielo che ho trovato nell’armadietto del bagno? EH?»

Merda.

«Dovevo recensirlo per il giornalino della scuola, ho dovuto leggerlo! Mi hanno costretta!»

Ma anche questa crisi passa. Lui è comprensivo. Eri un’adolescente nel bel mezzo dell’età della ribellione. Si può sorvolare.

Poi, un giorno, mentre quello che ormai è il tuo fidanzato si rilassa alla tv, decidi che è giunta l’ora di dare un’occhiata a quelle edizioni della Divina Commedia. E così, spulciando tra un volume e l’altro, trovi una cosa meravigliosa: nascosto in terza fila c’è il libro di un certo Brachino.

Sorridi, malefica. Lo hai in pugno.

«Amore! Guarda cos’ho trovato!»

Perché tutti hanno qualche scheletro nascosto nella libreria.

Tutti.


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Abortire nella terra degli obiettori

Mi preme segnalare questo articolo, riportato anche da un sito che, già che ci sono, vi consiglio di tenere d’occhio: Zero Violenza Donne.

Chi segue Diritto (in)civile da un po’ sa già come la penso sull’aborto. Chi, invece, passa di qua per la prima volta, può dare un’occhiata a questo post (commenti compresi). Questo solo per dire: non sono favorevole all’aborto inteso come “contraccettivo ritardato” e, personalmente, credo non abortirei mai (ma, dopotutto, mai dire mai, che in certe situazioni bisogna trovarcisi).

Nonostante questo, ritengo che ci siano delle situazioni in cui, purtroppo, l’aborto debba essere preso in considerazione e penso che fare di questa scelta di per sé già difficile e dolorosa un interminabile percorso a ostacoli sia un atto di egoismo e violenza.

Perché leggendo le storie di queste donne, davvero non capisco come si possa essere tanto insensibili da abbandonarle a se stesse in simili momenti (intendo soprattutto dopo l’aborto, ma leggendo l’articolo capirete a cosa mi riferisco). Non credo spetti all’uomo (inteso come essere umano e non come essere di sesso maschile) giudicare, in questi casi. Tanto più lasciando queste donne da sole per ore, con il feto che hanno espulso tra le gambe, ancora caldo. Umanamente, mi sa tanto di crudeltà gratuita.

Ora. Non voglio aprire un dibattito sul tema “aborto sì/no”. Ce ne sono già troppi e verrebbe fuori un pandemonio. Vorrei solo che, dopo aver letto l’articolo linkato, tutti provassero a mettere da parte convinzioni politiche/religiose/sociali e a porsi, semplicemente, nei panni di chi ha appena perso un figlio che, per un motivo o per l’altro, non potrà mai stringere tra le braccia.

Buona lettura.


Di Langone, donne, commenti e altro ancora

Okkei ragazzi, basta così.

I punti di vista di tutti sono stati espressi, analizzati e sviscerati e direi che, se non avete trovato un punto d’incontro finora, non lo troverete più.

La vostra l’avete detta, ai posteri l’ardua sentenza.

Di mio mi sono astenuta dal commentare oltre. D’altronde: non ho commentato l’articolo da cui nasce la “provocazione” di Langone (anche se la mia opinione, da quel poco che ho scritto anche nelle risposte ai vostri commenti, direi che è emersa eccome, a differenza di quanto detto da qualcuno qui), quindi mi sembra logica, come scelta, quella di non commentare altre “provocazioni”.

Tanto più che gli integralisti cattolici non li reggo (e sì, rivelazione: sono cattolica anch’io, pensa un po’) ed è incredibile, per la mia piccola testolina, che nel 2011 si debbano ancora fare discorsi simili, a prescindere dall’articolo in commento.

Che la donna abbia come qualità naturale (e come dono) quella di procreare è un conto. Da qui a dire che il suo unico compito sulla terra sia questo ce ne passa di acqua sotto i ponti. Tanto più che, a casa mia almeno, a far figli si è in due. Non è che l’uomo “getti il seme” e basta. Troppo semplice così. E, grazie al cielo, nella mia vita di uomini simili non ne ho mai incontrati (e, se l’ho fatto, li ho allontanati senza farmi troppi scrupoli).

Sul fatto, poi, che una donna debba sentirsi realizzata solo adempiendo alla sua funzione di madre, di nuovo, non sono d’accordo. Sempre volendo porla in un’ottica di Fede (non di teologia, ma di pura e semplice Fede), da credente mi rifiuto di pensare che le doti che Dio mi ha dato oltre a quella di poter, in futuro, portare in grembo un figlio, debbano essere messe da parte. E probabilmente saranno stati idioti i miei catechisti (uomini e donne, tengo a specificarlo), che mi hanno sempre inculcato queste malsane idee.

Tra queste doti c’è anche quella di saper studiare, di saper portare avanti le mie idee, di essere in grado di fare un sacco di cose che con la maternità non c’entrano nulla. Lavorare, per esempio. Voler portare avanti una carriera (senza metterla in primo piano rispetto alla famiglia, ma questo mi pare comunque sia affar mio). Voler rendere orgogliosi di me i miei genitori e non solo perché saprò (spero) essere una brava madre, ma anche e soprattutto perché porto avanti i miei progetti e mi realizzo.

Ché una donna realizzata (e, badate bene, in qualsiasi modo ritenga di potersi realizzare), a parer mio, i figli li cresce molto meglio.

Bollare poi la cultura come demonio che ha snaturato l’essere umano mi pare un po’ eccessivo. Soprattutto quando, per dare sostegno alle proprie affermazioni, si ricorre a soggetti che, guarda un po’, la cultura hanno contribuito a crearla, nel bene e nel male. E’ un tantinello illogico.

Detto ciò: commenti chiusi. E non perché non abbia voglia di continuare a moderare, ma perché, ohibò, ho altro da fare e ben poca attenzione da dedicare ai commenti qui sul blog, e non voglio perciò rischiare di pubblicare insulti o simili (va be’ che la Cassazione ha specificato che non andrei negli impicci io, ma meglio evitare comunque).

Della serie: visto che, almeno per ora, alle donne è ancora consentito studiare ne approfitto e mi porto avanti.

Baci e abbracci!


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Nina e i diritti delle donne – Cecilia D’Elia

Ci segnala Loredana Liperrini che c’è un nuovo libro da mettere sotto l’albero. Si intitola Nina e i diritti delle donne, scritto da Cecilia D’Elia e illustrato da Rachele Lo Piano.

Questo è quanto troviamo sul sito della casa editrice Sinnons:

«Oggi i ragazzi e le ragazze posso scegliere cosa fare da grandi. Ma in Italia, solo 45 anni fa, alcune professioni erano vietate alle donne: come la magistratura e altre ancora nei pubblici uffici. Attraverso la voce di Nina e la storia della sua famiglia, il racconto di come è cresciuta l’Italia attraverso l’evoluzione dei costumi, delle donne e della società intera: per mostrare ai giovani lettori e lettrici che niente si può dare per scontato e che tanti diritti, che oggi sembrano ovvi, sono in realtà frutto di grandi battaglie avvenute pochi anni fa e che non vanno dimenticate! Soprattutto per non tornare indietro.»

Fra i temi trattati: diritto di famiglia e aborto. Tra le figure descritte: Franca Viola, Tina Anselmi, Nilde Iotti. In più ci sarà una bella appendice con tutte le leggi in materia.

Aspetto a dare un giudizio personale sull’opera in sé, visto che preferisco prima darci almeno un’occhiata. Descritta così, comunque, sembra molto interessante. Così interessante che mi sentirei di consigliarne la lettura anche a qualche ometto più grandicello (e anche a qualche femminuccia, sì).

In fondo, signori miei, non si smette mai di imparare.


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Libero: Togliete i libri alle donne e torneranno a fare figli

No, davvero, devo commentare?

E il “bello” è che si prendono pure finanziamenti pubblici per scrivere ‘ste boiate.

Vergognatevi.


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Nella cattiva sorte. [racconto]

[Racconto temporaneamente rimosso in quanto partecipante a concorso letterario]

{Ricordo, viste le brutte esperienze passate, che questo racconto (come del resto tutto quello che è scritto in questo blog) è protetto da una Licenza Creative Commons. Per maggiori informazioni sulla possibilità di condividerlo vi prego di consultare l’apposito banner posto nella colonna qui a fianco. Rimango a disposizione per ulteriori informazioni (dirittoincivile@gmail.com). Grazie. }


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I figli della “vecchia generazione”.

Prima pagina del Corriere della Sera On-line di oggi, titolone: Video con la compagne di classe, il mercato proibito su Internet.

Smaltita la prima reazione del tipo: “MA VA?!?!?! Ma pensa te, che scoop il Corriere! ‘spetta che lo faccio presente a quelli del Pulitzer!” ho iniziato a pensarci su. E ad innervosirmi alquanto.
Perché personalmente non condivido quello che fanno i ragazzini in questione. Anzi. In un primissimo momento è venuto anche a me da dire “ah, queste nuove generazioni! Dove andremo a finire?”
La prima, acida e istintiva reazione, è quasi sempre questa, bando alle ipocrisie. Il vecchio, il nostro stile è perfetto. Il nuovo fa schifo. Punto. Fine della discussione (che poi io di anni ne ho 24, intendiamoci, non è che sia proprio lontanissima da questa fantomatica nuova generazione – echioseràdireilcontrariodovràvederselaconmeperchéiosonoccciofane).
Poi, però, se si ha un minimo di cervello, si comincia a riflettere.

Perché i ragazzini si comportano così?
Se li sono inventati questi comportamenti? Vengono istintivi? O forse sono il prodotto di quello che li circonda, dell’ambiente in cui vivono, dell’educazione che ricevono?
La conferma ce l’hai se accendi la tv. A qualsiasi orario. E non parlo solo delle pubblicità, no no. Mai provato a sintonizzarvi su Italia 1 verso le 12.30? C’è Studio Aperto. I primi dieci minuti, di solito e se davvero non possono farne a meno, li dedicano a Yara, Sarah Scazzi, Melania e così via. O a buttar fango sui giovani sovversivi di sinistra che usano un terribile strumento demoniaco chiamato Twitter per lanciare invettive violente contro un certo povero martire di nostra conoscenza. Gli ulteriori venti minuti sono dedicati a servizi acculturatissimi come “Studi scientifici hanno dimostrato che le donne col seno rifatto e le labbra carnose piacciono di più agli uomini” (giuro che il servizio esiste veramente; forse il titolo è diverso, ma la sostanza è questa) o “Guarda la velina, che l’han beccata a prendere il sole tutta ignuda!” oppure, ancora, “Ecco a voi, in anteprima, gli scatti del nuovo calendario super sexy di Tizia!“.
Con tutte le immagini, naturalmente.

Alle 12.30.

Poi esci di casa. Toh, guarda che bella gnocca sul cartellone pubblicitario!
Leggi il giornale: chissà chi sarà rimasto coinvolto nell’ultimo scandalo politico a sfondo sessuale! Andiamo a vedere! O, guarda questa qui! E’ diventata Ministro/Consigliere/Pezzo grosso di un’azienda perché l’ha data via. Ed è stato beccato un video su You Tube in cui…

E allora mi fanno ridere i giornalisti che demonizzano (o trattano da deficienti) questi giovincelli depravati. E mi fa ridere chi commenta inneggiando a una vecchia generazione perfetta e idilliaca in cui nessuno si sarebbe mai sognato di comportarsi in questo modo scandaloso. Perché questi giovani d’oggi, insomma, bisognerebbe mandarli nei campi militari! E le ragazze a far da infermiere nelle case di riposo! (Commento reale all’articolo di cui sopra).

E proprio a queste generazioni così morigerate pongo la mia domanda: ma l’Italia, anzi, il mondo così com’è oggi, chi l’ha creato? Chi l’ha creata questa società basata sulla (s)mercificazione del corpo femminile?
L’ha creata il ragazzino di 15 anni che oggi considera le compagne di classe come oggetti? La ragazzina che vende il suo corpo per le ricariche telefoniche perché “tanto è normale e oggi si fa così”? Si sono educati da soli questi terribili giovani? Non hanno, forse, preso esempio da chi avrebbe dovuto educarli?
E allora di chi è la colpa? Dei ragazzini che si sono rimbambiti e non sanno più rispettare i genitori e le loro regole o, magari eh, dei genitori che non sanno trasmettere buoni valori ai figli? Oppure dei genitori dei genitori (scusate la ripetizione) che non hanno saputo insegnare a questi ultimi a fare il loro mestiere?

Perché va bene il conflitto generazionale, ma ora un po’ si esagera.


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Violenza domestica: chi è il maltrattatore?

La violenza contro le donne va inserita nel più generale quadro della violenza di genere ed è oggi riconosciuta dalla comunità internazionale come una violazione dei diritti umani.
Include ogni azione violenta, sia essa fisica o psicologica, perpetrata da uomini o da istituzioni patriarcali nei confronti delle donne in quanto appartenenti al genere femminile.
Molte culture, credenze e persino leggi e istituzioni legittimano ancora oggi la violenza contro le donne, diffusa come piaga sociale (colpisce donne di qualsiasi età, religione, cultura, livello di istruzione, estrazione sociale) e, nonostante questo, spesso dimenticata.
A differenza di quanto si potrebbe credere, il tipo di violenza contro le donne più diffusa è quella perpetrata in famiglia dal proprio partner o ex partner: la violenza domestica.

Ma chi è il maltrattatore?
Quando si pensa a un uomo violento, subito il pensiero va a un emarginato sociale, individuabile a prima vista come persona pericolosa, magari vestito male, con qualche tatuaggio. Tutto muscoli. Un ribelle, insomma, da cui tenersi ben alla larga.
Non è così.
L’85% dei maltrattatori è costituito da uomini stimati socialmente, impiegati o liberi professionisti. E i dati sono confermati dalla pratica: nella mia seppur breve esperienza ho avuto per lo più a che fare con donne maltrattate il cui compagno era stimatissimo socialmente (volontari, consiglieri comunali e via dicendo). Si tratta di soggetti in grado di controllarsi fuori dall’ambiente domestico, violenti solo con la propria partner.
Più di rado (il restante 15%) si tratta, invece, di uomini già noti ai Servizi Sociali e alle Forze dell’Ordine perché violenti anche in altri contesti oltre a quello familiare.
Spesso si tratta di tipi possessivi, gelosi e, in quanto tali, insicuri e fortemente dipendenti dalla propria vittima (a tal punto che, se hanno paura di perderla, possono arrivare a ucciderla). Individui deboli che sentono il bisogno di esercitare potere sulla loro compagna e di controllarla, ricorrendo a mezzi che, di fatto, sono gli stessi per ogni situazione di violenza domestica (per approfondire si veda l’articolo sulla spirale della violenza domestica).
La maggior parte dei maltrattatori ha una visione rigida e tradizionale della vita e dei ruoli fra uomini e donne, visione che il più delle volte è conseguenza della cultura e dell’educazione cui sono stati sottoposti. E’, infatti, circa il 60% di essi ad aver subito maltrattamenti o ad essere stato spettatore di violenza.

Diverse teorie sono state elaborate nel corso degli anni, prima fra tutte quella che vorrebbe l’uomo violento malato, da curare. Si tratta di una teoria che non trova riscontri psicologici, tanto più che, come appena visto, il più delle volte i violenti lo sono solo con le loro vittime e questo non corrisponde al profilo di persone malate di mente.
Altra teoria è quella della c.d. famiglia conflittuale che mette sullo stesso piano vittima e carnefice, senza tener conto che nel caso di specie non si parla di conflitto bensì di violenza e non ci si trova di fronte a una situazione simmetrica quanto asimmetrica. E con questo si risponde anche a quelli che ogni volta scattano dicendo che allora “qualsiasi lite è considerabile violenza domestica”. Certo che no. La conflittualità fa parte della vita di coppia, ma un litigio “normale” vede i partners su un piano di parità e non di supremazia dell’uno sull’altra.
Ulteriore teoria descrive la violenza come “perdita di controllo” ed è contraddetta dallo stesso ragionamento svolto in merito al “violento malato”.

Alla luce di quanto appena detto, dunque, le cause della violenza domestica sono raramente imputabili a origini fisiologiche o biologiche.

Quanto all’abuso di alcol e stupefacenti, non è credibile a mio parere chi individua negli stessi le uniche cause dirette della violenza. Più volte mi è capitato di sentire ragionamenti come: “mio marito è violento, ma poverino è colpa dell’alcol. Se non beve non mi pesta, si limita a strillarmi contro”. Alcol e droghe non sono la causa del maltrattamento (che, anche nel caso appena descritto, sussiste comunque dal punto di vista psicologico), ma incrementano il comportamento violento poiché riducono le inibizioni e la capacità di autocontrollo.

Quanto alla sostanza, il comportamento violento può manifestarsi, dal punto di vista fisico, nei modi più svariati: spintoni, schiaffi e pugni, morsi, sputi, bruciature, tentativo di strangolamento, tortura, aggressione con arma da fuoco, pestaggio durante la gravidanza, costringere la partner ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà, commettere atti sessuali violenti o degradanti, e così via.
Altrettante possono essere le condotte in cui si sostanzia la violenza psicologica: insulti, giochi mentali, denigrazione, imposizione di comportamenti inutili e degradanti (pretendere che il pavimento venga rilavato più e più volte o – e questa l’ho sentita davvero – arrivare alle minacce e alle botte perché l’insalata non è stata sciacquata con una certa acqua e un certo quantitativo di volte, etc.), menzogne, produrre l’isolamento della vittima, eccessiva gelosia, minaccia di sottrarre i figli o di far del male agli stessi, prendere decisioni importanti senza consultare la compagna, usare la conoscenza di abusi precedenti per far pressione sulla partner, e via dicendo.

Questo un quadro generale. Riduttivo, ovvio, ma a mio parere utile per introdurre il discorso sulla violenza domestica dopo il post precedente.

Chiudo con un interrogativo: un uomo violento può cambiare?
Aspetto le vostre considerazioni.

Alla prossima.