Appunti di diritto (in)civile.

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Violenza domestica: chi è il maltrattatore?

La violenza contro le donne va inserita nel più generale quadro della violenza di genere ed è oggi riconosciuta dalla comunità internazionale come una violazione dei diritti umani.
Include ogni azione violenta, sia essa fisica o psicologica, perpetrata da uomini o da istituzioni patriarcali nei confronti delle donne in quanto appartenenti al genere femminile.
Molte culture, credenze e persino leggi e istituzioni legittimano ancora oggi la violenza contro le donne, diffusa come piaga sociale (colpisce donne di qualsiasi età, religione, cultura, livello di istruzione, estrazione sociale) e, nonostante questo, spesso dimenticata.
A differenza di quanto si potrebbe credere, il tipo di violenza contro le donne più diffusa è quella perpetrata in famiglia dal proprio partner o ex partner: la violenza domestica.

Ma chi è il maltrattatore?
Quando si pensa a un uomo violento, subito il pensiero va a un emarginato sociale, individuabile a prima vista come persona pericolosa, magari vestito male, con qualche tatuaggio. Tutto muscoli. Un ribelle, insomma, da cui tenersi ben alla larga.
Non è così.
L’85% dei maltrattatori è costituito da uomini stimati socialmente, impiegati o liberi professionisti. E i dati sono confermati dalla pratica: nella mia seppur breve esperienza ho avuto per lo più a che fare con donne maltrattate il cui compagno era stimatissimo socialmente (volontari, consiglieri comunali e via dicendo). Si tratta di soggetti in grado di controllarsi fuori dall’ambiente domestico, violenti solo con la propria partner.
Più di rado (il restante 15%) si tratta, invece, di uomini già noti ai Servizi Sociali e alle Forze dell’Ordine perché violenti anche in altri contesti oltre a quello familiare.
Spesso si tratta di tipi possessivi, gelosi e, in quanto tali, insicuri e fortemente dipendenti dalla propria vittima (a tal punto che, se hanno paura di perderla, possono arrivare a ucciderla). Individui deboli che sentono il bisogno di esercitare potere sulla loro compagna e di controllarla, ricorrendo a mezzi che, di fatto, sono gli stessi per ogni situazione di violenza domestica (per approfondire si veda l’articolo sulla spirale della violenza domestica).
La maggior parte dei maltrattatori ha una visione rigida e tradizionale della vita e dei ruoli fra uomini e donne, visione che il più delle volte è conseguenza della cultura e dell’educazione cui sono stati sottoposti. E’, infatti, circa il 60% di essi ad aver subito maltrattamenti o ad essere stato spettatore di violenza.

Diverse teorie sono state elaborate nel corso degli anni, prima fra tutte quella che vorrebbe l’uomo violento malato, da curare. Si tratta di una teoria che non trova riscontri psicologici, tanto più che, come appena visto, il più delle volte i violenti lo sono solo con le loro vittime e questo non corrisponde al profilo di persone malate di mente.
Altra teoria è quella della c.d. famiglia conflittuale che mette sullo stesso piano vittima e carnefice, senza tener conto che nel caso di specie non si parla di conflitto bensì di violenza e non ci si trova di fronte a una situazione simmetrica quanto asimmetrica. E con questo si risponde anche a quelli che ogni volta scattano dicendo che allora “qualsiasi lite è considerabile violenza domestica”. Certo che no. La conflittualità fa parte della vita di coppia, ma un litigio “normale” vede i partners su un piano di parità e non di supremazia dell’uno sull’altra.
Ulteriore teoria descrive la violenza come “perdita di controllo” ed è contraddetta dallo stesso ragionamento svolto in merito al “violento malato”.

Alla luce di quanto appena detto, dunque, le cause della violenza domestica sono raramente imputabili a origini fisiologiche o biologiche.

Quanto all’abuso di alcol e stupefacenti, non è credibile a mio parere chi individua negli stessi le uniche cause dirette della violenza. Più volte mi è capitato di sentire ragionamenti come: “mio marito è violento, ma poverino è colpa dell’alcol. Se non beve non mi pesta, si limita a strillarmi contro”. Alcol e droghe non sono la causa del maltrattamento (che, anche nel caso appena descritto, sussiste comunque dal punto di vista psicologico), ma incrementano il comportamento violento poiché riducono le inibizioni e la capacità di autocontrollo.

Quanto alla sostanza, il comportamento violento può manifestarsi, dal punto di vista fisico, nei modi più svariati: spintoni, schiaffi e pugni, morsi, sputi, bruciature, tentativo di strangolamento, tortura, aggressione con arma da fuoco, pestaggio durante la gravidanza, costringere la partner ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà, commettere atti sessuali violenti o degradanti, e così via.
Altrettante possono essere le condotte in cui si sostanzia la violenza psicologica: insulti, giochi mentali, denigrazione, imposizione di comportamenti inutili e degradanti (pretendere che il pavimento venga rilavato più e più volte o – e questa l’ho sentita davvero – arrivare alle minacce e alle botte perché l’insalata non è stata sciacquata con una certa acqua e un certo quantitativo di volte, etc.), menzogne, produrre l’isolamento della vittima, eccessiva gelosia, minaccia di sottrarre i figli o di far del male agli stessi, prendere decisioni importanti senza consultare la compagna, usare la conoscenza di abusi precedenti per far pressione sulla partner, e via dicendo.

Questo un quadro generale. Riduttivo, ovvio, ma a mio parere utile per introdurre il discorso sulla violenza domestica dopo il post precedente.

Chiudo con un interrogativo: un uomo violento può cambiare?
Aspetto le vostre considerazioni.

Alla prossima.


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La spirale della violenza domestica.

Dal 2000 ad oggi più di 1100 donne sono state uccise dal proprio partner. Sembra il dato di una guerra e forse lo è. Una guerra tra generi, tra uomini e donne, tra carnefici e vittime. Una guerra nascosta tra le mura domestiche, ritenuta quasi “privata”. Una guerra dimenticata.

La violenza domestica, spesso, si manifesta in modo subdolo. Non sempre si tratta di violenza fisica o almeno, non sempre nasce direttamente come tale, bensì sorge come violenza psicologica, difficile da riconoscere in principio. Una volta entrata nella cosiddetta spirale della violenza, tuttavia, è difficile per la donna uscirne. Ci vuole coraggio, ci vuole determinazione. Ci vuole quella cognizione di sé, quella sicurezza che il maltrattatore tenta in tutti i modi far venire meno in modo da avere il controllo totale, fisico e, ancor prima, psicologico, sulla sua vittima.

Ma vediamo come si articola questa spirale della violenza.

1. Intimidazione: l’uomo fa di tutto perché la partner viva in uno stato costante di paura. Minaccia di lasciarla, di andarsene se lei non lo ascolta, se non si sottomette. Se non ubbidisce. Spesso questa prima fase passa in sordina, confusa con quella che la nostra cultura ci indica come gelosia, partendo da espressioni comunissime, una per tutte: “Se fai questo (i.e. esci con le amiche, ti comporti in un certo modo, etc.) vuol dire che non mi ami”.

2. Isolamento: a seguito delle continue richieste e lamentele del compagno, la donna è spinta a isolarsi dal resto del mondo: si allontana dalla famiglia, dagli amici, dai colleghi di lavoro. In questo modo risulta ancora più in balia dell’uomo, sola se non fosse per lui. In questo modo il maltrattatore acquista maggiore controllo e potere.

3. Svalorizzazione: l’apice della violenza psicologica. I comportamenti dell’uomo sono volti a far nascere nella compagna insicurezza, senso di inadeguatezza e incapacità, che presto portano a una significativa perdita dell’autostima. La vittima, ormai sempre più succube, tende a giustificare quanto le accade.

4. Segregazione: non solo l’uomo allontana la donna da quelli che erano i suoi precedenti contatti (come accade nella fase dell’isolamento), ma la priva anche dei contatti casuali (i commercianti, il medico di base, i vicini di casa), quelli che la portano fuori di casa nella vita di tutti i giorni.

5 e 6. Violenza fisica e violenza sessuale: alla violenza psicologica segue e/o si accompagna la violenza fisica che spesso sfocia nella violenza sessuale e questo accade, si badi, anche nel caso in cui la donna si sente obbligata ad avere rapporti sessuali pur non opponendo evidente resistenza (ad esempio dopo essere stata picchiata).

7. False riappacificazioni: a momenti di violenza si alternano momenti di pentimento. E sono proprio questi momenti, in cui il partner sembra tornare quello di cui si è innamorata tempo prima, a spingere la donna a perdonare, a giustificare, a sperare in un cambiamento perenne. Un cambiamento che non arriva mai.

8. Ricatto sui figli: se le minacce e i maltrattamenti sono quotidiani o tali comunque da scatenare la paura della donna, allora giunge la ribellione. A questo punto l’uomo fa leva sui figli: minaccia di toglierli alla partner qualora non torni ad essere remissiva. A sopportare in silenzio.

Troppe donne sono vittime, a tutt’oggi, della violenza domestica. Una violenza nascosta, si diceva all’inizio, ma non per questo meno pericolosa. Semmai il contrario. E’ la paura a farci dimenticare che esiste. La vergogna. E’ più comodo fare finta di niente, girarsi dall’altra parte, alzare il volume della tv se sentiamo le urla delle nostre vicine di casa al di là del muro del salotto. Per non sentire.

Per fingere che sia solo un’altra leggenda metropolitana.